Primi timidi passi di riavvicinamento si erano già notati nel corso della seconda metà dell’amministrazione Trump, ma dopo iniziali frizioni con il nuovo presidente Joe Biden, legati a un ipotetico e mai avvenuto riavvicinamento di Washington all’Iran, ecco che nelle ultime settimane si è concretizzata la possibilità di una storica normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele. A sancire formalmente l’inizio di questo processo è la visita di un ministro di Tel Aviv, per la prima volta nella storia, nel regno degli al-Saud. È stato infatti il titolare del dicastero del Turismo, Haim Katz, a mettere piede nel Paese del Golfo per partecipare un convegno dell’organizzazione mondiale di settore dell’Onu. Un accordo di normalizzazione tra i due Paesi, secondo il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, può essere raggiunto “nel primo trimestre del 2024. Abbiamo raggiunto un punto in cui le probabilità sono più elevate che mai”.

Il membro del governo Netanyahu ha dichiarato che “il turismo è un ponte tra le nazioni. La cooperazione in questo campo ha la potenzialità di unire i cuori e il progresso economico”. Al di là delle parole di facciata, è indubbio che la sua visita abbia un peso sul processo di normalizzazione tra i due Paesi su cui stanno lavorando gli Stati Uniti. E il processo sembra ben avviato, almeno ascoltando le parole del capo della diplomazia israeliano, convinto che un accordo possa arrivare entro il primo trimestre del prossimo anno: “L’Arabia Saudita è il Paese leader dell’Islam sunnita” e un accordo segnerebbe “quasi la fine del conflitto fra il popolo ebraico ed il mondo musulmano”.

Un riavvicinamento che potrebbe influire anche su un altro tema di primaria importanza, come emerge dalle dichiarazioni dell’ambasciatore saudita presso l’Autorità nazionale palestinese (Anp), Naif bin Bandar Al-Sudairi: quello del dialogo tra Israele e Palestina. “Stiamo lavorando per creare uno Stato palestinese con Gerusalemme est come capitale“, ha detto il diplomatico citato dal Jerusalem Post. L’Arabia Saudita, ha aggiunto dopo aver presentato a Ramallah le proprie credenziali al ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Maliki, nutre “un forte interesse per la questione palestinese e la causa del popolo palestinese” e si batte per “la soluzione dei due Stati che porti alla costituzione di uno Stato di Palestina”. Dal canto suo, anche al-Maliki ha detto che “questo è un momento storico”. E non a caso, dopo la visita a Ramallah, l’ambasciatore ha in programma una preghiera nella moschea al-Aqsa di Gerusalemme.

Alti funzionari palestinesi, sentiti dal Times of Jerusalem, frenano però gli entusiasmi, sostenendo che “i sauditi ci hanno detto che sono nostri partner e non mediatori con Israele”. L’Autorità nazionale palestinese, hanno aggiunto, vuole che un accordo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita sia condizionato alla sospensione, da parte israeliana, di azioni unilaterali in Cisgiordania. In cambio, l’Anp è pronta a fermare alcune delle sue azioni unilaterali. “Dovrebbero esserci obblighi reciproci – ha detto un funzionario palestinese parlando in condizione di anonimato – Devono finire i passi unilaterali per dare un orizzonte politico al futuro tra israeliani e palestinesi”.

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