La Cina “sosterrà la reintegrazione della Siria e il ripristino dei suoi legami con il resto del Medio Oriente”. Lo ha detto il presidente cinese Xi Jinping durante l’annuncio di una “partnership strategica” con il regime siriano durante la visita a Hangzhou del suo omologo Bashar al-Assad il 22 settembre, la prima dal 2004. La Cina è infatti il terzo paese non arabo che Assad visita dallo scoppio della guerra civile più di 12 anni fa, dopo Russia e Iran, i principali alleati storici del regime di Damasco.

Secondo l’agenzia di stampa del regime siriano Sana, Damasco e Pechino “hanno firmato tre accordi di cooperazione”: un accordo di cooperazione economica, un memorandum per rafforzare le relazioni nello sviluppo economico e un’intesa per la realizzazione di un piano comune nell’ambito dell’iniziativa della Nuova via della seta.

Assad si è detto positivo sul “ruolo costruttivo della Cina sulla scena internazionale”, respingendo fermamente tutti i tentativi che potrebbero “indebolire questo ruolo attraverso l’interferenza negli affari interni della Cina o tentativi di creare tensione nel Mar Cinese Meridionale o nel Mar Cinese Meridionale”.

Da parte sua, Xi Jinping ha fermamente spiegato che “la Cina sostiene l’opposizione della Siria alle interferenze straniere e alle intimidazioni unilaterali” e che Pechino sosterrà il regime di Assad per “la ricostruzione della Siria” anche attraverso “l’iniziativa della Nuova via della seta”, alla quale Damasco ha aderito nel gennaio del 2022.

Il ritorno di Assad e le manifestazioni di As-Suwayda – Da mesi ormai il regime di Assad cerca infatti di uscire da un isolamento internazionale a cui è stato confinato dal 2011, con lo scoppio delle manifestazioni popolari durante le Primavere arabe, represse con il sangue e sfociate in una guerra civile che ha destabilizzato l’intera area del Medio Oriente e che, come conseguenza diretta, ha portato alla sospensione della Siria dalla Lega araba e alle sanzioni economiche e diplomatiche dell’Occidente.

L’8 maggio scorso la Siria è stata riammessa alla Lega araba e il 19 maggio Assad ha partecipato al vertice che si è tenuto a Jeddah, con il benestare dell’Arabia Saudita di Mohammed Bin Salman, in un graduale ritorno alla “grande famiglia araba”. Dal 2011 però la Cina ha sempre sostenuto il regime di Assad nei forum internazionali e nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, astenendosi ripetutamente dal votare risoluzioni che lo condannavano durante il conflitto. Secondo l’analista politico siriano Osama Dannoura, sentito dal quotidiano arabo Quds Arabi, la Cina è infatti un “partner affidabile” per il regime siriano, soprattutto nel campo economico, e può riaprire le porte alla sua legittimazione sul piano internazionale.

Va notato però che in Siria la situazione non è per niente calma e stabile e il Paese del Levante è ancora diviso, da una parte, tra fazioni che si contendono la legittimità del potere politico e, dall’altra, da insurrezioni popolari. Da più di un mese ormai ad As-Suwayda, città a maggioranza drusa e capoluogo dell’omonimo governatorato della Siria meridionale, sono infatti scoppiate proteste contro il regime di Assad e, in generale, contro il tracollo economico causato dalla guerra civile e dall’isolamento internazionale.

Le manifestazioni sono esplose ad agosto, quando il governo ha deciso la rimozione dei sussidi per il carburante. L’attivista Salam Abbas ha dichiarato ad Al-Araby Al-Jadeed che “il regime sta cercando di contrastare e screditare qualsiasi figura che sostenga le proteste”, aggiungendo che il governo di Damasco “teme che le proteste si possano espandere, potenzialmente in altre province siriane”. Le proteste hanno subito goduto dell’appoggio degli Stati Uniti e tre deputati della Camera dei rappresentanti, i repubblicani Joe Wilson e French Hill e il democratico Brendan Boyle, hanno avuto, in contemporanea con la visita di Bashar al-Assad in Cina, contatti telefonici con il capo druso Hikmat al Hijri, che dallo scorso 13 settembre ha dichiarato il proprio sostegno ai manifestanti di As-Suwayda. Al quotidiano arabo The National Boyle ha spiegato di aver “ribadito il sostegno trasversale da parte del Congresso Usa alle proteste pacifiche a As-Suwayda e Deraa”. “In qualità di co-presidente del Gruppo degli amici della Siria libera, stabile e democratica, ho avuto il piacere di discutere brevemente con sheikh Hikmat al Hijri e incoraggio i miei colleghi alla Camera e al Senato a fare lo stesso”, ha spiegato.

Il ruolo della Cina in Medio Oriente – Da parte sua, la mossa di Pechino di invitare Assad rientra nell’ambito del crescente impegno della Cina in Medio Oriente. La Cina ha infatti recentemente aumentato la sua influenza diplomatica nel mondo arabo, in particolare aiutando a mediare un accordo per il ripristino dei legami tra Iran e Arabia Saudita nel marzo scorso e i cui colloqui segreti si sono tenuti in Iraq, Giordania e Oman. Parallelamente, la Cina sta rafforzando la sua attività diplomatica anche livello globale e negli ultimi mesi ha ospitato leader e funzionari di Paesi in aperta contrapposizione con gli Stati Uniti e l’Ue, tra cui il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, i rappresentanti del governo talebano in Afghanistan e il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Il 20 settembre il Cremlino ha annunciato che anche il presidente russo Vladimir Putin visiterà la Cina nel mese di ottobre.

Tornando quindi alla Siria, come spiega al quotidiano Quds Arabi anche Julia Gerol-Heller, ricercatrice dell’Università di Friburgo in Germania, la Cina vede, a lungo termine, il porto di Laodicea come un importante luogo strategico nelle sue ambizioni di avere un punto d’appoggio in Medio Oriente, ed è per questo che Pechino è stata cauta e ha continuato a cercare di esercitare una presenza modesta in Siria negli ultimi mesi.

Ciò che è importante nella visita di Assad è che rappresenta un’opportunità per Pechino di mostrare il proprio potere diplomatico in un momento in cui la Cina deve affrontare una forte concorrenza da parte degli Stati Uniti per l’influenza geopolitica nella regione del Medio Oriente. Quando il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas ha visitato Pechino lo scorso giugno, Xi Jinping si è subito offerto di mediare i colloqui di pace tra palestinesi e israeliani, e si prevede che la stessa offerta sarà fatta anche al premier israeliano Benjamin Netanyahu, che visiterà il Paese asiatico entro la fine dell’anno.

Articolo Precedente

Lavrov all’Onu: “Umanità a un bivio per evitare una grande guerra. L’ossessione di sconfiggere la Russia ha accecato i politici occidentali”

next
Articolo Successivo

Il caso Attanasio sulla scrivania di Guterres: la convocazione dell’ambasciatore italiano all’Onu è ingerenza? Cosa dicono gli esperti

next