Una grana economica e ambientale sta rovinando i piani di Giorgia Meloni e del governo italiano, che in passato hanno dispensato promesse al leader ucraino Zelensky per la ricostruzione del paese in guerra. Il gruppo Metinvest, lo stesso che controlla l’acciaieria Azovstal distrutta dai russi, ha avviato una manifestazione di interesse assieme al gruppo friulano Danieli per realizzare un impianto da 2,2 miliardi di euro a Porto Nogaro, sulle rive dell’Adriatico, a ridosso delle lagune di Grado e Marano. Zone in parte incontaminate, che attirano un importante turismo balneare sul litorale. Ebbene, alcune settimane fa la Regione Friuli Venezia Giulia ha di fatto bocciato l’ipotesi, affermando di optare per altri investimenti, meno impattanti. Il che ha messo in imbarazzo il nostro governo, che a Ferragosto aveva approvato un emendamento (proposto dal ministro pordenonese Luca Ciriani di Fratelli d’Italia) per consentire la nomina di un commissario governativo per realizzare impianti industriali del valore superiore al miliardo di euro. Una norma ad hoc per l’acciaieria, non fosse che la presa di posizione della giunta di Massimiliano Fedriga ha sbarrato la strada al progetto che punta a una produzione annua per tre miliardi di euro.

La lobby economico-politica è però potente. Non a caso proprio alla vigilia delle audizioni in commissione dei promotori interessati al progetto (chieste da tutte le forze politiche) sono diventati di pubblico dominio gli esiti di uno studio dell’Università di Udine secondo cui le criticità provocate dall’acciaieria non sarebbero così devastanti come si pensava. Insomma, Metinvest e Danieli hanno trovato un motivo di più per insistere, anche se gli ucraini hanno fatto sapere che entro tre mesi decideranno su una possibile localizzazione diversa, forse in Austria.

La discussione in corso davanti a due commissioni consigliari è cominciata tra le polemiche. Markus Maurmair, di Fratelli d’Italia, presidente della commissione che si occupa di Attività produttive, ha spiegato così la scelta di non integrare l’elenco dei soggetti da convocare con i firmatari della petizione contro l’acciaieria, come chiesto invece dalle minoranze: “Avranno la possibilità di illustrarne i contenuti in lungo e in largo durante una seduta specifica che dedicheremo alla loro proposta”.

Non è bastato a Rosaria Capozzi (M5s), secondo cui, a norma di regolamento, l’elenco doveva essere allargato. “Siamo sinceramente indignati di sentirci dire che cementificare 150 ettari di terreno, modificare le foci dei fiumi facendo arretrare gli argini lagunari in una Zona protetta speciale, aumentare il traffico di mezzi sulla strada provinciale da 80 a 3250 al giorno, decuplicare i treni, decuplicare le emissioni di monossido di carbonio e di acido cloridrico in un’area a ridotta ventilazione, sono un’occasione di sviluppo non solo economico, ma anche sociale e culturale per la nostra Regione”. Poi ha abbandonato l’aula per protesta. La critica è stata condivisa da Furio Honsell di Open, che ha giudicato “irrituale la scelta di non integrare l’elenco degli auditi con i primi firmatari della petizione”. Ha poi consegnato al presidente una lettera dei comitati che si sono riuniti in sit in davanti al palazzo.

Nella discussione in corso hanno fatto irruzione i risultati della ricerca che la Regione ha commissionato alle Università di Udine e Trieste, oltre che ad un gruppo di professionisti coordinati da HMR Ambiente di Padova. Gli esiti hanno riguardato quattro angolature diverse: trasporti, emissioni in atmosfera, condizioni idrodinamiche e impatto socio-economico. Le conclusioni hanno evidenziato aspetti positivi e negativi, senza però un diniego assoluto “a priori” per ragioni ambientali. Alle audizioni in corso stanno partecipando, oltre agli autori degli studi, anche i sindaci di 9 Comuni dell’area, il presidente del Gruppo Danieli, Gianpiero Benedetti, organizzazioni di datori di lavoro, sindacati e associazioni ambientaliste.

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