di Brenda Ferretti*

Crosta, Crusca, Pumba, Dorothy, Mercoledì, Bartolomeo, Ursula, Carolina e Spino: sono i nomi dei 9 maiali del rifugio Cuori Liberi di Sairano, nel Pavese, che fino a pochi giorni fa potevano sperare di vivere liberi per tutta la loro vita. Purtroppo invece sono stati uccisi dai veterinari dell’ATS di Pavia, dopo che la polizia ha sgomberato il santuario con manganelli, calci e pugni contro noi manifestanti pacifici.

Per 14 giorni un presidio pacifico che riuniva attivisti e attiviste da tutta Italia aveva lo scopo, da un lato, di accudire e accompagnare con tutte le cure veterinarie possibili i maiali malati di peste suina africana — una grave malattia che colpisce maiali e cinghiali e che a settembre di quest’anno si è diffusa velocemente negli allevamenti della provincia del Pavese — dall’altro, di impedire che venissero abbattuti preventivamente, come da ordinanza delle autorità, non solo gli animali malati ma anche quelli sani.

Al termine di due settimane cariche di ansia e preoccupazione per la sorte dei maiali, poco dopo le 7 del mattino del 20 settembre, decine di camionette della polizia hanno circondato il rifugio. Le autorità, in tenuta antisommossa, hanno dichiarato che tutti i presenti sarebbero stati portati in questura e che avrebbero usato qualsiasi mezzo per entrare e uccidere gli animali. E così è stato.

Si sono fatti strada con violenza nella catena umana davanti al cancello e i vigili del fuoco lo hanno distrutto con i flessibili. Per superare la nostra resistenza passiva e nonviolenta hanno strattonato, manganellato, preso a calci e a pugni. Alcuni attivisti sono rimasti feriti e alcuni di noi sono stati soccorsi dal 118 o portati via in ambulanza.

Ignari di tutto quello che stava succedendo, prima di morire i maiali scodinzolavano, aspettando la loro colazione. Ma le persone che avevano davanti non erano i soliti volontari, erano veterinari ATS arrivati lì per ucciderli. Noi ce l’abbiamo messa tutta per proteggerli, ma non ce l’abbiamo fatta.

Nei giorni precedenti le richieste e le proposte di valutare soluzioni non cruente sono state tutte ignorate. Ciò che è successo è quindi di una gravità indescrivibile: i rifugi nascono come luoghi di pace, dove tutti gli animali vivono liberi e lontani da ogni violenza. Sono a casa, accuditi come qualsiasi altro cane e gatto. Aver portato qui violenza e morte è un’ingiustizia profonda e dolorosa per tutti noi.

Si tratta anche di una gravissima violazione della biosicurezza: alcuni agenti erano senza calzari protettivi e sono entrati in contatto con i maiali, il terreno dove scorrazzavano e le loro feci senza prendere i dovuti provvedimenti. In questo modo ieri è aumentata notevolmente la probabilità di diffusione del virus. Tutto il contrario della grande attenzione alla biosicurezza messa in atto ogni giorno da parte dei volontari del rifugio.

Infine, ciò che è successo è una mancanza di rispetto per i processi democratici e per la società civile, che ha espresso con tutti i mezzi legali e pacifici il proprio dissenso e le proprie richieste e che si è vista invece attaccare con violenza. Per tutte queste ingiustizie ci stiamo coordinando insieme ad associazioni e rifugi, non solo per sporgere denunce e intentare azioni legali, ma anche per portare il tema in Parlamento, nei consigli comunali e regionali, fino ad arrivare sui tavoli del Ministero.

L’uccisione dei maiali che vivevano a Cuori Liberi è dovuta esclusivamente alla necessità di tutelare gli interessi degli allevamenti intensivi e dei loro guadagni. Quando la PSA è entrata negli allevamenti della Lombardia, in cui vivono oltre il 50% di tutti i maiali allevati nel nostro Paese, la filiera ha iniziato subito a voler tamponare le perdite, contenere il virus con abbattimenti ed evitare che venissero bloccate le esportazioni.

Le autorità non hanno fatto nessuna differenza tra i maiali degli allevamenti intensivi, destinati alla filiera alimentare, e quelli dei santuari, che non fanno parte dell’industria zootecnica, che vivono accuditi e che non avrebbe portato il virus in nessun altro allevamento, perché da qui non sarebbero mai usciti.

Sono stati uccisi per proteggere delle strutture che causano sofferenza agli animali e che sono una minaccia alla salute pubblica — perché sono i luoghi ideali per la diffusione di malattie ed epidemie.

* responsabile campagne di Essere Animali
Foto: © Saverio Nichetti e Martina Miccichè

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