Dopo una giornata di bombardamenti in NagornoKarabakh, i separatisti dell’enclave armena annunciano la resa. L’operazione militare lanciata martedì 19 settembre dall’Azerbaigian nei confronti dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh si è conclusa con il cessate il fuoco raggiunto con Baku nella mattinata di mercoledì grazie anche alla mediazione delle forze di mantenimento della pace russe attive nel Paese. Le autorità della minoranza etnica residente in Azerbaigian hanno reso noto che “è stato raggiunto un accordo sul ritiro delle unità e dei militari rimasti delle forze armate armene e sulla dissoluzione e disarmo completo delle formazioni armate dell’Esercito di difesa del Nagorno-Karabakh”.

Dall’Armenia il primo ministro Nikol Pashinian avverte che le ostilità sono diminuite di intensità, ma non ancora cessate del tutto. In un appello rivolto alla popolazione della regione separatista la notte scorsa la presidenza azera aveva detto che “il regime illegale armeno deve dissolversi, altrimenti le operazioni antiterrorismo continueranno fino alla fine”. Durante quella che Baku ha definito un’operazione “antiterroristica” volta a contrastare le forze armate armene nella regione contesa del Caucaso, il ministero della Difesa aveva garantito di avere colpito esclusivamente obiettivi militari. Le immagini che arrivano da Stepanakert, capitale autoproclamata dell’enclave, mostrano tuttavia gravi danni a quartieri di civili.

Secondo quanto riporta il governo di Erevan, sarebbero almeno 32 le vittime confermate e 200 i feriti. Tra questi anche diversi civili. Le autorità russe fanno sapere che i peacekeeper presenti sul posto hanno già evacuato più di 2.000 persone, tra cui 1049 minori. Dall’inizio dell’operazione militare Baku aveva garantito l’attivazione di corridoi umanitari, compreso uno verso l’Armenia. Parte delle tensioni nella zona erano state causate da un posto di blocco degli azeri nel corridoio di Lachin, unica via di collegamento con l’Armenia, che lo scorso aprile aveva portato all’interruzione di approvvigionamento di beni di prima necessità per gli armeni in Azerbaigian.

A poche ore dal cessate il fuoco il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, in un’intervista alla televisione Canale 1 ha rimarcato che il Nagorno-Karabakh è “un affare interno dell’Azerbaigian” e le forze di Baku “operano nel loro territorio” in modo legittimo. Nel pomeriggio di mercoledì un contingente di soldati delle forze di mantenimento della pace russe è finito sotto il fuoco di armi leggere mentre rientrava da un posto di osservazione nell’area del villaggio di Janatag. Mosca non ha ancora identificato i responsabili ma il presidente russo Vladimir durante un incontro con il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, nella capitale ha espresso la speranza che la situazione in Nagorno-Karabakh vada verso “una direzione pacifica”. Sforzo diplomatico anche da parte dell’Italia, con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani che ha proposto una soluzione “sul modello dell’Alto Adige” per la gestione della zona del Caucaso sotto il controllo di Baku dove risiedono 120mila cittadini di etnia armena. Da parte sua l’Azerbaigian, nelle parole dell’assistente per la politica estera del presidente azero, Hikmet Hajiyev, si è detto “favorevole alla normalizzazione delle relazioni con l’Armenia

Intanto proseguono le proteste a Erevan, con oltre un migliaio di manifestanti che si è radunato davanti al palazzo del governo a seguito dell’annuncio del cessate il fuoco, mentre l’opposizione che ha avviato le procedure per chiedere l’impeachment del premier Pashiunian, accusato di non avere difeso gli armeni del Nagorno-Karabakh. Le proteste sono cominciate martedì 19, quando un gruppo di manifestanti ha tentato di assaltare il palazzo del governo per denunciare il mancato intervento dell’Armenia in difesa dei compagni del Nagorno-Karabakh. Il primo ministro Pashinian è stato accusato dai manifestanti di essere un “traditore“. L’amministrazione Pashinian ha chiarito di non avere partecipato alla stesura dell’accordo per il cessate il fuoco e ha aggiunto che Erevan non ha truppe nella zona dal 2021. Pashinian è più volte stato oggetto di critiche per la sua gestione delle tensioni in Nagorno-Karabakh e per l’avvicinamento dell’Armenia agli Stati Uniti, elemento che ha portato diversi analisti ad ipotizzare un futuro abbandono della causa armena da parte del governo attuale in cambio di supporto diplomatico da parte di Washington.

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