Il 12 settembre sono scaduti i termini per formulare osservazioni e proposte al Documento per la consultazione 388/2023/R7TLR di ARERA “Orientamenti per la definizione del metodo tariffario per il servizio di teleriscaldamento”, pubblicato il 4 agosto. In pratica l’Autorità di Regolazione per Energie Reti e Ambiente deve indicare (finalmente!) i criteri con cui le imprese fornitrici del servizio ne stabiliranno i costi per gli utenti finali. Se l’intento era di favorire la partecipazione alla consultazione diffusa su un tema scottante, la scelta del periodo è davvero infelice. D’altra parte la legge impone di introdurre un regime di tariffe regolate già a partire dall’anno termico 2023-2024.

Finora le tariffe le hanno fatte le multiutility che forniscono il servizio, un altro segno di come funziona il mercato dei servizi pubblici in Italia: i Comuni agevolano il teleriscaldamento, anche con norme tassative nei loro regolamenti edilizi, i privati le costruiscono e gestiscono facendo profitti, senza nemmeno garantire la trasparenza delle tariffe e la redistribuzione dei vantaggi. L’esplosione dei prezzi dell’energia, quasi integralmente scaricati sulle imprese ma soprattutto su famiglie già impoverite da decenni di politiche di bassi salari, ha reso il tema esplosivo.

In Italia sono 280 i comuni – dati dell’ultimo rapporto del GSE riferiti al 2020, ma sostanzialmente stabili – in cui è presente almeno una rete di teleriscaldamento. L’estensione complessiva delle reti si avvicina ai 5000 km per una potenza complessiva di 9,9 GW. L’82% degli impianti è alimentata da fonti fossili, il gas la fa da padrone. Il rimanente 18% è ricavato da fonti energetiche rinnovabili (biomassa, eolico, geotermico in Toscana, in genere per piccoli impianti) e dei rifiuti bruciati negli inceneritori. Le utenze residenziali sono il 63% del riscaldato, il terziario incide per il 34%, il 3% le utenze industriali. Il 96% delle utenze è al nord.

“Il teleriscaldamento […] porta calore nelle case salvaguardando l’ambiente e consentendo economie di scala che si traducono in benefici per gli utenti e per tutta la collettività”, scrive A2A, una delle grandi corporation energetiche che operano nel settore – tutte le grandi imprese del settore ruotano sullo stesso concetto – solo che sembra proprio che non sia del tutto vero. Il teleriscaldamento – questo è il leitmotiv – è un sistema innovativo e virtuoso che, attraverso la cogenerazione, il riutilizzo e la produzione attraverso fonti rinnovabili, riduce l’inquinamento e le bollette, oltretutto permettendo la contabilizzazione individualizzata, tanto consumi tanto paghi. Che le cose non funzionassero proprio così si sapeva da tempo, lo raccontavano i vari comitati di cittadini sorti un po’ dovunque: Torino e cintura, Corsico, Mantova, Milano, Brescia, Ferrara, solo per richiamarne alcuni fra i più battaglieri.

Rivendicano tutti le stesse cose. Intanto maggiore chiarezza nella determinazione delle tariffe, tanto più in epoca di rincari folli. In secondo luogo, operando in regime di mercato, chiedono di permettere senza troppi ostacoli la concreta possibilità di staccarsi dalla rete per chi vuole praticare soluzioni di riscaldamento diverse; proprio di recente l’Antitrust ha avviato un’istruttoria che prende in esame i costi eccessivi previsti per allacci e distacchi. E poi l’effettiva garanzia di attribuzione dei costi in base ai consumi, ancora lontana dal realizzarsi soprattutto nei grandi condomini dove la ripartizione dei costi avviene ancora per superficie o cubatura dell’appartamento. Infine la valorizzazione dei rifiuti bruciati dagli inceneritori che cogenerano l’energia per scaldare l’acqua immessa nelle reti: a fronte delle obiezioni di carattere economico e ambientale sull’opportunità di bruciare i rifiuti invece di ridurli attraverso una corretta politica degli imballaggi e di recupero e riciclo, la risposta dei gestori di impianti è sempre stata che così il rifiuto sarebbe stato valorizzato come combustibile – di qui la nuova denominazione di termovalorizzatori – e che i benefici economici sarebbero andati agli utenti. Brucio rifiuti invece che gas, così faccio bene all’ambiente e alle tasche. In realtà l’economicità dei termovalorizzatori sta nella tariffa del gas bruciato per incenerire i rifiuti, molto al di sotto di quelle applicate alle normali utenze. Concorrenza drogata.

Tutti nodi che vengono al pettine in questi tempi difficili, con i costi dell’energia alle stelle e la constatazione che, nella maggior parte dei casi, agli utenti del servizio il teleriscaldamento costa di più, lo scrive anche ARERA nel documento che avvia la consultazione. Altro che risparmio! In tempi duri una beffa nella beffa, quella di numerosi insediamenti di case popolari. L’efficientamento energetico è cosa da famiglie agiate (Rapporto Civico 5.0 di Legambiente). Le famiglie assegnatarie di case popolari in virtù di una condizione economica svantaggiata si ritrovano alle prese con bollette del teleriscaldamento fuori da ogni logica perché i padroni di casa (enti pubblici) non hanno eseguito gli interventi utili a ridurre la dispersione.

Per questo si attendono con ansia le risultanze del lavoro di ARERA: avere un metodo tariffario, seppure transitorio, è meglio che l’arbitrio totale di oggi. Così si comincerà a capire se i davvero i rifiuti sono un combustibile che vale la pena di continuare a produrre alla faccia del riciclo. Se le premialità previste da ARERA per i produttori di energia che si mostrano virtuosi, curando l’innovazione degli impianti e delle fonti, devono pagarli gli utenti finali, noi. Se gli utenti possono scegliere di teleriscaldarsi perché conviene o se sono obbligati “a prescindere”. Dato che le reti di teleriscaldamento corrono sul suolo pubblico, se non è più logico che siano pubbliche anche loro.

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