La siccità presenta il conto all’Italia, ed è un conto da 5 miliardi. Soldi da reperire subito, già nella manovra, per riportare entro tre anni la capacità delle dighe al valore nominale iniziale. Poi ci saranno le opere per il risparmio idrico, per contenere le perdite e via dicendo. La cifra non è stata ancora ufficializzata ma il commissario all’emergenza Nicola Dell’Acqua lo farà presto, probabilmente già nella riunione tecnico-politica coi ministri fissata per il prossimo 21 settembre.

Peccato che plani su una finanziaria già a secco, con l’esecutivo che fatica a trovare 25-30 miliardi per tener fede agli impegni su sostegni alle famiglia, lavoro e pensioni. Si vedrà a breve, dunque, se le parole spese dalla Meloni circa l’impegno per “misure di mitigazione delle conseguenze del cambiamento climatico”, ancora pochi giorni fa al G20 di New Delhi, erano parole al vento rispetto alla fredda aritmetica dei conti.

Se in manovra non ci saranno i soldi per le crisi idriche che fa, commissario, si dimette?
“Non sarà necessario”, risponde Dell’Acqua al Fatto. Schivo di carattere, 58 anni, l’agronomo veneto suggerito da Luca Zaia nominato a maggio risponde dal cucuzzolo di Omodeo, in Sardegna, il più grande bacino artificiale d’Europa. Nega che l’emergenza sia “scomparsa dall’agenda del governo” inghiottendo anche lui. Ammette, invece, che la “cabina di regia” presieduta da Salvini (e inaugurata in pompa magna il 5 maggio) da allora si è riunita una volta soltanto, l’8 agosto scorso. Conferma pure che il governo ha lasciato scadere, come nulla fosse, una parte sostanziale della legge contro la siccità che prevedeva la ricognizione delle opere urgenti (“è in fase di recupero”). “Nel frattempo – rivendica – abbiamo fatto la cosa più importante e cioè la raccolta di dati reali. Magari non si vede, ma contro la siccità stiamo facendo un grande lavoro”.

In effetti da fuori non si vede. Prego commissario, lo racconti
L’otto di agosto ho presentato i primi dati della situazione e ci siamo focalizzati sulla manutenzione di tutti gli invasi d’Italia per ripristinare le capacità iniziali: sono circa 3 miliardi di metri cubi quelli che vogliamo andare a recuperare. Servono molti investimenti, parliamo di diversi miliardi.

Quanti miliardi?
Non posso dirglielo. Non ho ancora comunicato la cifra alla cabina di regia.

Se dico 5 sbaglio di tanto?
No, non sbaglia di tanto. Il 21 settembre è già programmata la riunione tecnico-politica con tutti, il ministro dell’Ambiente e quello delle infrastrutture, le autorità di distretto in concerto con le Regioni proprio per preparare una richiesta di finanziamento per la Finanziaria che indichi al governo gli investimenti necessari per affrontare la crisi idrica nei prossimi tre anni. Quel giorno potrò essere preciso.

E se la Meloni non trovasse questi soldi che chiede, si dimetterà?
Non sarà necessario. E’ chiaro che se dico che solo per il bacino del Po servono 20 miliardi il dato sembra inaffrontabile, ma stiamo lavorando con le autorità di distretto proprio per arrivare a una programmazione che spalmi gli interventi su più finanziarie. Sento il dovere di presentare dati reali e in maniera pragmatica.

Parla di un governo che ha varato il “decreto siccità” ma il 30 maggio ha lasciato scadere l’articolo che prevedeva la ricognizione delle opere urgenti…
Lo so, ma è già in fase di recupero e fa parte della relazione consegnata alla cabina di regia dell’8 Agosto. Seguiranno diversi incontri tecnici in base alle risultanze del documento

In maggioranza emergono talvolta posizioni negazioniste, anti Thunberg e via dicendo. Come la vive?
Nessuno mi ha detto le cose che dice lei. La consapevolezza del cambiamento climatico è evidente e la cabina di regia ha assolutamente preso atto di questa cosa. Alla cabina ho portato la situazione di tutte le dighe e di tutti i bacini e dei grandi laghi ma divisi per distretti, perché parlare di Pianura Padana per l’acqua non ha senso. Io devo essere chiaro, dobbiamo fare quei “bilanci di distretto” che in questi anni non sono mai stati presi in seria considerazione.

E che cosa dicono questi bilanci?
Che il cambiamento climatico sta creando crisi idriche. Quest’anno, ad esempio, non possiamo dire di aver avuto “siccità”, abbiamo avuto comunque crisi idriche. E questo perché? Perché il cambiamento del clima fa che la quantità di neve caduta nell’anno precedente sia minore. Questo fa che il “sistema padano” regga con molta più difficoltà, anche laddove storicamente le nevi sono il più grande grande bacino di conservazione dell’acqua. Sto aspettando i dati del distretto del Po, che poi è il più grande ed esteso di tutti.

Cosa si aspetta?
Confermeranno che il
cambiamento climatico, paradossalmente, in questo momento si paga di più nell’Italia settentrionale che meridionale e questo semplicemente per un fatto: quest’ultima è più abituata ad avere periodi in cui non piove. Questi periodi però sono sempre più lunghi e al Sud abbiamo un’infrastrutturazione che ancora quella finanziata dalla vecchia Cassa del Mezzogiorno. Per questo sebbene il sud abbia strutture più preparare all’assenza prolungata di piogge è altrettanto vero che devono essere manutenute al meglio e, dove necessario, che se ne creino di nuove.

E’ stato chiamato ad affrontare un’emergenza epocale, ma con un incarico (da 120mila euro l’anno) che scade a dicembre: non è un paradosso?
E’ così ma per la burocrazia, non certo per sfiducia. Ripeto che l’impegno del governo mi sembra serio, di certo ho preso il mio molto seriamente. Anche nelle piccole cose. Mi sono astenuto ad esempio dal creare una struttura con staff e personale. Preferisco al momento avvalermi delle ottime competenze che ci sono nei distretti, dove in pratica abbiamo ricavato un ufficio in ciascuno senza pesare sull’Erario e sui contribuenti. Solo dopo che si capirà il fabbisogno si parlerà di costi di struttura.

E i fondi del Pnrr?

Il Pnrr è già intervenuto sul fronte dei progetti di manutenzione straordinaria con circa un miliardo di euro. Il problema è che devono essere finiti e saldati a maggio 2026, quindi qualcuno giocoforza per le tempistiche è saltato. Stiamo anche facendo un lavoro per evitare l’eccessiva frammentazione delle competenze e in questo settore, scommettendo molto sulle autorità di bacino.

Tra Stato e Regioni la competenza, a suo giudizio, chi la deve avere?
Quando parlo di “frammentazione” mi riferisco anche a questo. Le infrastrutture, intese come dighe e bacini etc, sono demaniali ma la loro gestione è territoriale ed è affidata alle regioni. Ma quando devi pianificare non puoi limitarti all’ente o unità amministrativa in cui c’è la diga, perché ogni azione a monte ha effetti a valle. Se faccio una nuova diga – a parte la Sardegna e la Sicilia che sono isole – so benissimo che ci saranno effetti anche nelle altre regioni. Personalmente sono per una competenza e un coordinamento più forte delle autorità di distretto.

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