Una delle più importanti novità emerse nel G20 indiano di New Delhi, in chiusura oggi 10 settembre, è stata l’intesa raggiunta dai capi di stato di Stati Uniti, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Italia, con la mediazione anche dell’Unione europea, sulla finalizzazione di un accordo, definito “storico”, per l’implementazione di un nuovo corridoio economico che unisca India, Medio-Oriente ed Europa. Secondo fonti italiane, il memorandum d’intesa è stato firmato nell’ambito di un evento denominato “Partnership for global infrastructure and investment and India-Middle East-Europe economic corridor“, ovvero un pilastro di quel programma di investimenti e collaborazione economica introdotto nel 2022 per il finanziamento di infrastrutture nei paesi meno sviluppati, che stanzia in totale 600 miliardi di dollari, ideato e fortemente voluto dall’amministrazione statunitense di Joe Biden.

L’accordo prevede la creazione di due nuove direttrici ferroviarie e marittime che collegheranno l’India ai paesi del Golfo e all’Europa. L’iniziativa è da molti percepita come una vera e propria alternativa alla nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative) ideata da Pechino, progetto sempre osteggiato dagli Usa e ora “disertato” anche da un Italia ricondotta all’ordine da Washington. La Cina viene di fatto tagliata fuori da questa nuova rete infrastrutturale, in una fase economica particolarmente delicata per Pechino. Lo stesso presidente statunitense Joe Biden si è infatti speso molto e per molto tempo in fase di mediazione per portare a termine l’accordo dichiarando su X che “il summit di quest’anno ha dimostrato che il G20 può ancora trovare soluzioni ai nostri problemi più urgenti”, aggiungendo di essere “orgoglioso di annunciare che Stati Uniti, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Italia e Ue hanno finalizzato un accordo storico per un nuovo corridoio economico India-Medio Oriente-Europa che va ben oltre la semplice posa di binari, trattandosi di un investimento regionale rivoluzionario”. Al contempo, il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, in un colloquio faccia faccia con il premier Li Qiang, ha ufficializzato alla parte cinese l’intenzione definitiva dell’Italia di abbandonare il progetto della Via della Seta, pur assicurando uno sforzo per mantenere alto il livello di cooperazione economica Italia-Cina e stabilire un “partenariato-strategico“, come ribadito più volte anche dal ministro degli Esteri Antonio Tajani nei giorni scorsi.

Quello che emerge a margine di questo G20 è quindi, a discapito di quanto possano lasciare intendere dichiarazioni finali e grandi annunci, un livello di conflittualità elevato soprattutto sul ruolo di Russia e Cina nelle dinamiche internazionali. Nella dichiarazione finale è mancata una condanna unanime dell’aggressione russa all’Ucraina e la Cina, che si è presentata al vertice con l’assenza anomala del proprio presidente Xi Jinping, ha osservato senza parteciparvi la conclusione di un accordo storico che potrebbe andare a suo discapito da un punto di vista economico. Come riportato dal Financial Times, Pechino ha anche espresso la sua opposizione all’idea di una presidenza statunitense del G20 del 2026, segno emblematico del livello di deterioramento a cui sono giunte le relazione sino-statunitensi.

Una delle più importanti dichiarazioni cinesi, rilasciate in un incontro con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ha infatti posto l’attenzione sui rischi della politicizzazione delle questioni economiche e della strumentalizzazione delle questioni di sicurezza per abbattere la cooperazione economica fra paesi, ricordando che essa porta vantaggi reciproci e che Cina e Ue “dovrebbero unirsi e cooperare ulteriormente per contrastare le incertezze del mondo con una relazione bilaterale stabile”. Li Qiang ha poi espresso la disponibilità cinese ad un incontro tra i rispettivi leader entro la fine dell’anno, esprimendo l’auspicio che l’Ue continui a sostenere il principio dell’economia di mercato e della concorrenza leale, mantenendo un mercato commerciale e di investimento aperto e fornendo un ambiente equo, trasparente e non discriminatorio per le imprese cinesi che investono e intenderanno investire in Europa.

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