E’ già trascorso un anno da quell’8 settembre che aveva tenuto con il fiato sospeso tutti i sudditi del Regno Unito, e non solo, incollati a tv, radio e web in attesa di aggiornamenti sullo stato di salute di Elisabetta II dopo che si era diffusa la notizia che la famiglia reale al completo, o quasi, era accorsa al suo capezzale al castello di Balmoral in Scozia. Le ultime immagini pubbliche della Regina più famosa del mondo avevano lasciato intendere che per lei si stava avvicinando il momento di accomiatarsi dalla sua lunghissima vita, quei lividi visibili sulle mani nella famigerata foto che la ritraeva insieme all’allora premier Liz Truss e quell’aria dimessa la rendevano più simile ad una nonna qualsiasi che ad una sovrana e sembravano tanto distanti dall’aspetto fiero e imperturbabile che l’aveva resa un’icona inimitabile.

Della sua dipartita si è tanto parlato nelle settimane a seguire; non solo per l’enorme dispiegamento di forze nell’organizzazione della cerimonia funebre, ma anche per le aspettative create dall’avvento del nuovo sovrano, un Re anziano che si temeva non fosse in grado di colmare il vuoto lasciato da una figura così imponente il cui regno, durato 70 anni, è passato attraverso due guerre, sette Papi, 14 presidenti degli Stati Uniti. Ciò che possiamo dire ad un anno di distanza è che Carlo III ce la sta mettendo tutta per conquistare il consenso dei sudditi, spianare la strada a quello che sarà il suo successore, il primogenito William, e garantire la sopravvivenza di un’istituzione da molti considerata obsoleta se non addirittura iniqua – dato che fonda la propria ragione d’essere sul diritto di nascita e su privilegi spesso ritenuti arbitrari.

Il primo segnale è stato sicuramente il “basso profilo” della cerimonia di incoronazione che ha puntato al risparmio e all’eliminazione dello sfarzo con una drastica riduzione degli invitati, l’inclusione di membri della società civile al posto di nobili e dignitari, l’eliminazione di vistosi gioielli come diademi e tiare e la messa al bando delle anacronistiche e poco ambientaliste pellicce di ermellino. Il nuovo Re è ben consapevole di quanto poco popolare sia attingere dalle tasche dei cittadini inglesi e dato che l’incoronazione, al contrario di altre cerimonie come i matrimoni reali, è finanziata dai sudditi, la spending review ha sicuramente sortito l’effetto di far crescere un consenso che subito dopo la morte della madre era ridotto al lumicino.

Per proseguire con i buoni propositi, re Carlo ha rinunciato alle entrate derivanti da sei nuovi parchi eolici del Crown Estate per dirottarle a favore della spesa pubblica e ha concordato una riduzione del 25% della quota dei proventi derivanti dal ducato di Lancaster, atti che non passano certo inosservati e vanno nella direzione di una monarchia più snella e al passo con i tempi. Certo occorre fare i conti anche con il rovescio della medaglia, perché se da una parte, dopo l’allontanamento dei duchi di Sussex e lo scandalo sessuale che ha coinvolto il principe Andrea, i membri della famiglia reale che lavorano si sono ridotti e il Re sta licenziando parecchi manager ritenuti superflui per sbrigare gli affari a corte, dall’altra parte fanno scalpore i pessimi rapporti con Harry e Meghan ai quali di recente è stato tolto anche il titolo di Altezze Reali: fa discutere il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori a palazzo.

E soprattutto bisogna considerare il fatto che, per emergere, Carlo III ha potuto contare sul fatto che al suo fianco non ci sia una figura carismatica e popolare come Lady Diana in grado di catalizzare su di sé la benevolenza del popolo e l’attenzione dei media. La regina Camilla, forse anche perché meno istintiva e spontanea della principessa Diana, è in grado di occupare una posizione più defilata, tanto quanto basta per far risaltare il consorte e dare l’impressione, almeno in pubblico, che sia lui a condurre il gioco. In realtà, secondo i ben informati, la neo Regina avrebbe un ruolo molto importante non solo nel supportare e sostenere il sovrano, ma anche nell’elargire consigli che molto spesso si traducono in vere e proprie decisioni e mosse strategiche, come in ogni partita di scacchi che si rispetti.

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