La stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni è una norma “mal scritta“, che “crea incertezza“, l’abolizione dell’abuso d’ufficio viola gli obblighi internazionali e provoca un “vuoto normativo“, mentre il divieto di appellare le sentenza di proscioglimento rischia di essere incostituzionale. E ancora: sarà difficile rispettare le nuove leggi sulle misure cautelari. Il motivo? Non ci sono abbastanza magistrati. È una bocciatura completa della riforma della giustizia firmata dal ministro Carlo Nordio quella andata in onda a Palazzo Madama. Davanti alla commissione Giustizia del Senato, infatti, sono stati auditi Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, e Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione.

“La stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni? Crea incertezza” – A stroncare davanti ai senatori il primo pacchetto della riforma del guardasigilli Nordio è stato soprattutto il numero uno del sindacato delle toghe, che già nei mesi scorsi aveva criticato aspramente i provvedimenti varati da Nordio. A Palazzo Madama Santalucia ha attaccato soprattutto la nuova legge che estende il divieto di pubblicazione anche parziale, attualmente previsto solo per i nastri non acquisiti al procedimento, a qualsiasi dialogo che non sia stato “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”. Con la riforma Nordio, dunque, non potranno più essere pubblicate nemmeno le conversazioni citate nelle richieste di misure cautelari del pubblico ministero. “C’è un difetto di costruzione nella norma sulle intercettazioni”, dice Santalucia ricordando le modifiche sulla questione già varate anni fa con la riforma Orlando. “Il legislatore precedente – ha spiegato – aveva previsto che le intercettazioni vadano al pm perché le conservi in archivio. Per toglierle dall’archivio che è segreto bisogna acquisirle nel contraddittorio con le parti, secondo il criterio della rilevanza” e poi “possono essere utilizzate in dibattimento con la trascrizione peritale“. Allora “l’intercettazione trascritta nella perizia perché non dovrebbe potere essere pubblicata? Se sono già utilizzate in un provvedimento e il provvedimento è pubblicabile di per sé che senso ha dire che sono pubblicabili le intercettazioni solo se già utilizzate? – chiede Santalucia – Stanno dentro un provvedimento che è già pubblicabile”. E invece, secondo la riforma Nordio, anche queste intercettazioni non potrebbero essere diffuse. “Se le intercettazioni vengono già usate in un provvedimento e il provvedimento è pubblicabile di per sè, lo sono anche le intercettazioni. Per questo credo sia una norma mal scritta, che non dice tutto, così altera un equilibrio già raggiunto tra diritto alla riservatezza nel processo e all’informazione che è quello della rilevanza. E’ una norma che crea più incertezza che altro”, dice il presidente dell’Anm.

“Il divieto d’appello delle assoluzioni è incostituzionale” – Santalucia ha poi parlato di una parte della riforma che “incorre in una possibile censura di incostituzionalità“: il riferimento è per la parte della riforma che ha ristretto fortemente il potere di impugnare le sentenze di assoluzione da parte del pm. La riforma Nordio infatti vieta al pm di fare appello contro i proscioglimenti per i reati per cui è prevista la citazione diretta a giudizio, cioè senza l’udienza preliminare, punite con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni. Già nel 2006 la legge Pecorella aveva introdotto l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte dell’accusa, estesa però a tutti i tipi di reati: approvata dal terzo governo di Silvio Berlusconi, fu poi dichiarata illegittima dalla Consulta per violazione del principio di eguaglianza tra le parti del processo. Un epilogo che potrebbe toccare anche alla riforma Nordio.

“Riforma non regge sul piano organizzativo” – Davanti ai parlamentari della commissione Giustizia di Palazzo Madama Santalucia è tornato a porre poi dei problemi pratici relativi l’introduzione del giudice collegiale sulle misure cautelari. La riforma Nordio, infatti, prevede che quando il pm chiede la custodia cautelare in carcere a decidere sarà l’ufficio del giudice per le indagini preliminari in un’inedita “composizione collegiale“, cioè con tre magistrati invece di uno solo. “La collegialità non regge sul piano organizzativo – dice il presidente dell’Anm – I 250 magistrati in più da qui a 2 anni, non saranno in carne e ossa negli uffici e non basteranno”. Per evitare di mandare in tilt i tribunali, infatti, Nordio ha pensato fare entrare in vigore questa parte della riforma soltanto tra due anni: un termine che per Santalucia non basta ad aumentare la dotazione degli uffici. Tra l’altro è il caso di ricordare che il giudice competente sull’applicazione di una misura cautelare non può poi occuparsi delle fasi successive dello stesso procedimento.

“Abuso d’ufficio chiesto a livello internazionale” – Critico anche il parere sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio: il presidente dell’Anm ha ricordato che si tratta di una fattispecie citata dalla Convenzione di Merida che obbliga gli Stati, che come l’Italia l’hanno sottoscritta, a “criminalizzare” quella condotta. “Scopo dichiarato dell’abrogazione è contenere il numero delle indagini, visto che il dato delle condanne è già irrisorio” , dice Santalucia. Ma nella realtà non si arriverà a una “cestinazione” delle indagini, perchè “di fronte a una notizia di reato il pm ha l’obbligo di approfondire e l’obbligo sarà guidato da una norma incriminatrice piu grave“. Dello stesso avviso anche Busia, presidente dell’Anticorruzione: “Se abrogassimo tout court il reato di abuso d’ufficio avremmo un vuoto normativo e un’inadempienza rispetto a vincoli internazionali”, ha detto il numero uno dell’Anac. “C’è una chiarissima tendenza internazionale a prevedere l’abuso d’ufficio”, mentre l’abrogazione di questo reato crea “un vuoto che ha una serie di problemi“, ha continuato Busia. Che poi ha spiegato: “Rischieremmo di avere alcune fattispecie sanzionate di più e altri vuoti che il comune sentire sente davvero come violazioni non accettabili”.

Anci: “Va messo un confine all’abuso d’ufficio” – In Commissione è stato audito anche Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, che ha ribadito la posizione dei primi cittadini sull’abuso d’ufficio: “I sindaci non cercano né impunità né immunità” ha spiegato , ma “negli anni i loro compiti e le loro responsabilità sono cresciuti con la riduzione delle risorse e in un quadro di regole che spesso è confuso e contraddittorio nell’immaginario collettivo diventano responsabili di tutto quello che accade nel loro Comune, indipendente dalle loro competenze. Ed è quello che accade anche nell’ambito giudiziario: ci sono sindaci che si ritrovano a essere indagati per il solo fatto di essere sindaci, come se ci fosse un reato di ruolo”. Il sindaco di Bari ha spiegato che come Anci “noi non abbiamo fatto una proposta rispetto all’abrogazione dell’abuso d’ufficio, ci siamo rimessi alla volontà del legislatore, ma chiediamo che sia delimitato il confine del reato”. Approva l’abolizione dell’abuso d’ufficio Eriberto Rosso, segretario dell’Unione delle Camere penali: “È noto come la semplice contestazione abbia spesso determinato la paralisi della attività della Pubblica amministrazione e alterato gli equilibri della vita democratica in occasione di competizioni elettorali” ha osservato Rosso che ha definito “infondate” le critiche di chi sostiene che così verrà meno un “reato spia” di condotte ben più gravi.

M5s e Pd: “Governo si fermi” – Opposta l’opinione dei senatori dei 5 stelle in commissione Giustizia, Anna Bilotti, Ada Lopreiato e Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo. “Esperti autorevoli come il presidente dell’Anac Busia e il presidente dell’Anm Santalucia hanno ammonito con chiarezza: abrogare l’abuso d’ufficio significa creare gravi vuoti normativi e quindi negare diritti ai cittadini e non punire più comportamenti odiosi. Si pensi alle forzature compiute nella Sanità per indirizzare i pazienti verso il privato, ai concorsi truccati, agli appalti assegnati per favorire qualcuno. Agendo così si diffonderebbero a macchia d’olio le disparità di trattamento, facendo carta straccia dell’articolo 3 della Costituzione”, scrivono i 5 stelle in una nota. “Il governo – concludono – anziché perseverare nella sua marcia contromano e contro la logica ne prenda atto, la riforma Nordio è un danno enorme per l’Italia e non si occupa dell’unica vera emergenza della Giustizia: la lentezza dei procedimenti”. Simile la posizione del Pd. “Sull’abolizione totale dell’abuso di ufficio sono mesi che lanciamo allarmi, quindi nessuna sorpresa che oggi in commissione Giustizia, durante le audizioni, siano emerse molte preoccupazioni rispetto al provvedimento del governo. Oltre a vuoti normativi vi sono note difformità rispetto ai vincoli internazionali. Non ci siamo mai sottratti a un confronto su una ulteriore definizione del reato e abbiamo da tempo proposto soluzioni concrete per andare incontro alle esigenze dei sindaci e degli amministratori locali come le proposte di legge sui reati omissivi impropri, sulla responsabilità indiretta, e la modifica della legge Severino. Questa è la strada”, scrivono in una nota i senatori Alfredo Bazoli, Franco Mirabelli, Anna Rossomando e Walter Verini.

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