Da molti anni seguo con interesse l’effetto domino dei disastri naturali. Tutto nacque dalla scoperta dalla saponificazione dei suoli in seguito agli incendi. Prima in California, poi in Liguria, realizzammo esperimenti dai risultati inquietanti: a breve termine, i rischi di alluvione, di colata detritica e di desertificazione crescono fino a cento volte (Rosso, R., Bocchiola, D. & M.C. Rulli, Transient catchment hydrology after wildfires in a Mediterranean basin: runoff, sediment and woody debris: runoff, sediment and woody debris, Hydrology and Earth System Sciences, 11:125-140, 2007). Gli incendi hanno un impatto non soltanto immediato e diretto sul territorio e sulla vita delle persone, ma subdole implicazioni a medio e lungo termine.

L’effetto domino dei disastri naturali non è una novità. L’uomo, per negligenza o inconsapevolmente, può innescare fenomeni inattesi anche quando soccorre le popolazioni colpite da un disastro. Per oltre un secolo l’isola di Haiti non aveva mai avuto casi di colera: alla fine del XIX secolo la terribile malattia era stata del tutto eradicata dal povero paese caraibico. Oggi, il colera vi è diventato endemico. Tutto iniziò nel 2010, quando l’isola fu scossa da un terremoto che causò 300mila morti. Il sisma colpì in gennaio e i soccorsi internazionali incontrarono gravi difficoltà a causa dell’arretratezza del paese: i caschi blu delle Nazioni Unite impiegarono settimane a organizzare soccorsi alimentari e sanitari. In ottobre, quasi 500 membri del contingente nepalese, accampati lungo il fiume Meille, permisero che gli scoli sanitari finissero nelle acque del fiume. Entro poche settimane, la popolazione iniziò a denunciare i primi casi di colera. In Nepal, la malattia era endemica e alcuni caschi blu erano portatori del virus, che così rimise radici anche sull’isola di Haiti dopo più di cent’anni.

Il rischio sanitario post-terremoto è sempre rilevante, così come quello che possono innescare sia eventi naturali come alluvioni e maremoti, sia disastri industriali come le esplosioni degli impianti chimici, sia le vicende belliche.

La diga cinese di Banqiao e quelle del bacino di Shimantan crollarono in modo catastrofico o furono fatte saltare nel 1975 in seguito alla piena causata dallo scontro tra il tifone Nina e un fronte freddo. Fu una tragedia colossale: 26 mila vittime dirette. A seconda della fonte, si stimano tra 145 e 205 mila morti per gli effetti secondari durante i sei mesi successivi: epidemie e carestia.

Il disastro chimico di Bhopal (1984) è secondo soltanto a Chernobyl e Fukushima. Nel 2001, la grave esplosione nella fabbrica AZF di Tolosa fu un disastro colossale, economico e sociale. ln totale, i danni risarciti dalle assicurazioni superarono un miliardo e mezzo di euro. L’impatto psicologico fu enorme. Lo scarico di composti azotati, in particolare l’ammoniaca, inquinarono la Garonna con l’avvelenamento di diversi quintali di pesci. La dispersione dei composti volatili non provocò però danni consistenti a medio termine, anche se gli effetti a lungo periodo sono tuttora oggetto di studi.

L’impatto sanitario, ambientale e sociale degli eventi bellici merita approfondimenti impossibili in un post solitario come questo.

In genere, lo studio dell’effetto domino diventa subito materia di economia, la disciplina più pericolosa per l’umanità dopo la fisica e l’ingegneria nucleare. Raramente viene approfondito il contesto fenomenologico, ma si va subito al sodo, cioè ai quattrini e ai marchingegni finanziari. È il mercato, bellezza! Una delle poche eccezioni che conosco sono gli studi scientifici che hanno premiato un collega ed amico di una vita, Andrea Rinaldo, con lo Stockolm Water Prize 2023. E analizzavano proprio la trasmissione haitiana del colera attraverso le reti fluviali.

Quanto accade nelle isole Hawaii —un luogo assai lontano che l’immaginario dei baby-boomers associa a tre indimenticabili film con Elvis Presley— dovrebbe attizzare la curiosità scientifica anche degli europei. Mentre le squadre di ricerca ricercano ancora i dispersi dagli incendi hanno devastato l’isola di Maui, i sopravvissuti dovranno affrontare una sfida difficile: la contaminazione delle acque. Le prime indicazioni confermano come il sistema idrico locale sia stato compromesso in più punti, e la vastità del danno potrebbe costituire una minaccia senza precedenti per un ecosistema costiero complesso e diversificato come quello di Maui.

L’incendio ha distrutto o danneggiato più di duemila edifici, creando un ambiente tossico che potrebbe compromettere la qualità dell’acqua. Il benzene, una sostanza chimica notoriamente cancerogena, è stato rilevato nel sistema idrico pubblico di Lahaina, tanto da indurre i funzionari locali a consigliare i residenti di non bere l’acqua del rubinetto. E si teme anche che i deflussi contaminati, superficiali e sotterranei, possano riversarsi sulle barriere coralline dell’isola, un ecosistema assai sensibile e vulnerabile.

«Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo» secondo il filosofo di origine spagnola George Santayana (1863-1952) sepolto a Roma nel cimitero del Verano (v. Il pensiero occidentale: la tradizione signorile nella filosofia americana e altri saggi, Milano: Bompiani, 2016). L’acqua non ha memoria, come erroneamente credevano alcuni studiosi francesi alla fine secolo XX. L’umanità, invece, avrebbe questa fondamentale capacità, ma nelle sue azioni raramente ha condiviso né messo in pratica l’avvertenza di Santayana.

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