Secondo il Network Europeo di Osservazione e Informazione Ambientale (Eoinet) e secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (Eea), l’Italia è al terzo posto, dopo Francia e Germania, per morti premature collegate all’inquinamento ambientale con quasi sessantamila morti. Questo è il dato emerso recentemente al convegno annuale dell’AIL (l’Associazione Italiana contro leucemie linfomi e mieloma), coordinato da Igor Staglianò e dedicato, quest’anno, all’ “Impatto ambientale e rischio sanitario”.

Anzi, dal convegno è emerso un dato ancora più preoccupante. Infatti, secondo il rapporto “Sentieri” promosso dall’Istituto Superiore di sanità, che analizza gli indici di mortalità in 46 siti italiani individuati per la loro esposizione all’inquinamento ambientale, le morti collegate all’inquinamento e alla diffusione di malattie per la pessima situazione ambientale riguardano anche le fasce più giovani della popolazione, con più di 1.400 morti per tumore nella fascia pediatrica-adolescenziale e 999 tra i giovani adulti. E non a caso si è sottolineato che negli ultimi anni ci sono state numerose evidenze scientifiche che hanno messo in luce la forte correlazione tra fattori ambientali e salute umana e non umana, come quella di animali e piante, che contribuisce ad accrescere l’impatto sulla mortalità e la morbilità. Conferma evidente della importanza del recente inserimento espresso nella nostra Costituzione del diritto all’ambiente accompagnato dalla precisazione che “la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.

Così come, ovviamente, nel convegno AIL è stato ribadito il ruolo essenziale della prevenzione in campo ambientale, evidenziando contestualmente che la normativa europea è “probabilmente la più avanzata al mondo e dovrebbe essere recepita dall’Italia più celermente”. Purchè – aggiungiamo noi – essa venga recepita integralmente senza “aggiustamenti all’italiana” come, ad esempio è avvenuto per le bioplastiche (e ne abbiamo parlato sul Fatto) e come si sta tentando di fare per i biocarburanti. A questo proposito è opportuno ricordare che – come informa Cosimo Graziani su Italialibera – in questi giorni Legambiente, con altre associazioni ambientaliste, ha chiesto un incontro al ministro Gilberto Pichetto Fratin per esprimere tutti i dubbi sulla politica del governo, in quanto i ministri Salvini, Pichetto Fratin e Urso vogliono inserire tra i carburanti climaticamente neutri quali l’idrogeno verde e gli e-fuel, anche i biocarburanti per “la necessità di rispettare il principio della neutralità tecnologica nel garantire una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa verso una mobilità a zero emissioni. Ponendosi, in tal modo, in palese contrasto con le direttive europee in quanto – come il Fatto già più volte ha documentato evidenziando il ruolo dell’Eni – i biocarburanti patrocinati dal nostro governo provengono da coltivazioni a rischio uso del suolo, come quelle di olio di palma o olio di soia.

In più, tra i biocombustibili importati in Italia ed in Europa, ve ne sono anche di quelli provenienti da oli alimentari, grassi e rifiuti e c’è il forte sospetto che spesso essi vengano “allungati” con effetti nocivi per l’ambiente. E, non a caso, “i paesi europei che producono più biocarburanti sono Italia e Spagna che utilizzano principalmente oli esausti ed effluenti degli oleifici di palma (Pome), e le loro importazioni provengono da Cina e Indonesia”.

Ma non si tratta solo di recepimento di norme. Infatti, il grande problema italiano riguarda, anche e soprattutto, l’applicazione della normativa ambientale, per carenza di controlli e di strutture e personale specializzati. Le Arpa fanno quello che possono ma sarebbe necessario potenziarle e fornirle di adeguati finanziamenti per i controlli ambientali. Di certo, sessantamila morti in un anno sono un dato inaccettabile.

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