I colossi della vigilanza privata commissariati dalle Procure per sfruttamento dei lavoratori. I contratti collettivi disapplicati dai giudici perché prevedono salari indegni, o al contrario applicati d’ufficio a lavoratori privi di tutele come i rider. Il diritto al suicidio assistito riconosciuto solo dalla Consulta, grazie alla questione di costituzionalità sollevata dai pm di Milano. Ancora, anni prima, il sequestro disposto da un gip dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto, necessario a tutelare “la salute e la vita umana”. Il caso Cosmopol – l’ennesima società di vigilanza sottoposta a controllo giudiziario per aver corrisposto “retribuzioni al di sotto della soglia di povertà” – conferma una tradizione del nostro Paese: l’intervento della magistratura per affermare diritti che la politica non sa o non vuole tutelare. Per Franco Coppi, l’avvocato penalista più celebre d’Italia (difensore tra gli altri di Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi), il motivo è semplice: “Chi dovrebbe fare le leggi passa mesi a discutere del nulla. In questo modo a tutelare la dignità delle persone restano solo i tribunali”.

Professore, c’è una supplenza dei magistrati sul potere politico?
È indubbio che in Italia il potere giudiziario intervenga spesso a tutela dei diritti. Ma io non la chiamerei supplenza, perché non è qualcosa di voluto o ricercato. Piuttosto è il rispetto del proprio ruolo: se c’è una notizia di reato, la magistratura deve procedere. E molte volte le situazioni di sfruttamento dei lavoratori implicano reati, o almeno potenziali reati. Poi, certo, i pm in genere non si lasciano scappare l’occasione di aprire un fascicolo ogni volta che possono. Ma questo è un altro discorso.

Il fatto che le aziende possano applicare salari da fame dipende da una mancanza del Parlamento?
Sicuramente. È noto che moltissimi lavoratori siano vittime del caporalato o debbano accettare condizioni vicine alla schiavitù: ne parlano anche libri e film. È altrettanto noto che finora non si è fatto nulla, o quasi nulla, per far fronte a questa situazione.

Come mai, secondo lei?
C’è una strana mancanza di sensibilità ai temi sociali. In Parlamento si perdono non ore, ma giorni o mesi a discutere di questioni abbastanza banali, e poi non si sente la necessità di intervenire su temi che riguardano la dignità e la sopravvivenza degli esseri umani. Con tutti i problemi concreti che abbiamo da risolvere, il dibattito ruota intorno alle uscite del generale o del compagno della premier. D’altra parte, e lo dico da romanista, siamo il Paese in cui cinquemila persone vanno a Ciampino ad accogliere Lukaku. La politica è lo specchio della società che rappresenta.

Da cittadino è favorevole all’introduzione di un salario minimo legale?
Tenendo conto che normalmente il lavoratore è la parte meno forte del rapporto, perché no?

Un altro campo in cui la magistratura è entrata a pie’ pari è quello del fine vita, con la questione di legittimità costituzionale sollevata e accolta dalla Consulta nel caso Cappato/Dj Fabo.
È un intervento che ho apprezzato senz’altro. Io sono laico, parto dall’idea che chi soffre, se libero e cosciente, abbia il diritto di decidere di smettere di vivere, e in linea di principio sono contrario a forme di incriminazione di chi lo aiuta. Serve un intervento legislativo che sia in grado di trasformare questo principio in una norma, senza sconfinare però nella depenalizzazione dell’istigazione al suicidio.

Finora però il Parlamento non è ancora riuscito a legiferare.
Onestamente non è facile arrivare a un testo equilibrato. Ma il principio è quello che ho detto e dovrebbe essere riconosciuto dalla legge: la disciplina di questo tema, anche per il suo significato morale, non può restare affidata a una sentenza.

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