Un genocidio lento. E’ quanto sta avvenendo ormai da mesi nel Nagorno Karabakh, un’enclave armena di 120.000 abitanti bloccata dall’Azerbaijan. Il corridoio di Lachin, chiamato la strada della vita, è l’unica a collegare Karabakh all’Armenia ed è anche l’unica via per trasportare cibo, medicine e beni di prima necessità che però non passano il confine da mesi.

Il corridoio è chiuso dal 12 dicembre, invece dal 15 giugno gli armeni che vivono in questo territorio non ricevono nessun tipo di rifornimento. In tutto il territorio del Karabakh mancano i generi di prima necessità e le scorte sono finite da tempo. Rimanere vivi sembra una sfida insuperabile e definire drammatiche le conseguenze di questo assedio significa non dire nulla. Si tratta di un vero e proprio genocidio e per descriverlo non dobbiamo usare mezzi termini. Stiamo di fronte ad un invito a morire di fame, di fronte allo sterminio dell’intera popolazione armena che vive in quel fazzoletto di terra da sempre. La politica di Baku è ben premeditata e pianificata: fu messa in atto mesi fa. Un genocidio che ricorda quello del 1915 progettato e realizzato dall’lmpero ottomano durante il quale 1.500.000 armeni furono massacrati o lasciati morire di fame.

Secondo l’ufficio dei diritti umani di Nagorno Karabakh la penuria di pane è molto acuta, la popolazione soffre di carenza di vitamine e le persone aspettano ore e ore per riuscire a recuperare del pane spesso facendo la fila per tutta la notte. Giorni fa le autorità del Karabakh hanno riferito che un abitante di 40 anni è morto di fame specificando che l’uomo era morto di “malnutrizione cronica” e “carenza di proteine ed energia”. Da notare che il corridoio continua a rimanere chiuso dalle autorità azere nonostante la decisione della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite che aveva ordinato l’immediata revoca del blocco. Baku ignora anche gli appelli della comunità internazionale che hanno esortato l’Azerbaijan a riaprire il corridoio di Lachin e a consentire il passaggio degli aiuti umanitari.

Luis Moreno Ocampo, ex procuratore capo della Corte penale internazionale, avverte che “non si tratta di una crisi, ma di un genocidio e senza un cambiamento drastico immediato, questo gruppo di armeni sarà distrutto in poche settimane”. Non usa mezzi termini Ocampo, precisando che “il blocco del Corridoio di Lachin da parte delle forze di sicurezza azere che impediscono l’accesso a cibo, forniture mediche e altri beni essenziali dovrebbe essere considerato un genocidio ai sensi dell’Articolo II, (c) della Convenzione sul genocidio: Infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate in modo da causare la sua distruzione fisica”.

In questi mesi il blocco del corridoio viene accompagnato da numerose violazioni dei diritti umani. Da ricordare che circa un mese fa, il 29 luglio, i servizi della frontiera azera hanno rapito e detenuto Vagif Khachatryan, un armeno che veniva trasferito in Armenia dal Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) per cure mediche. Le autorità azere avevano approvato il suo trasferimento in Armenia, invece alla frontiera è stato rapito con l’ordine di Baku violando gravemente la legge internazionale. La spiegazione di Baku suona come una condanna anticipata, Vagif Khachatryan viene accusato di aver ucciso abitanti azeri durante la prima guerra di Karabakh. Una falsa accusa di reato senza fornire prove che la sostengano.

Tutto ciò fa parte dell’armenofobia presente in Azerbaijan da decenni e l’odio verso l’etnia armena diventa sempre più incontrollabile. Il rischio che quanto accaduto possa ripetersi è enorme ed è evidente che le autorità azere non si fermeranno davanti a nulla, ogni qualvolta decidessero di rapire e punire gli uomini armeni. Sossi Tatikyan, consulente di politica estera e di sicurezza, avverte che “questo potrebbe trasformarsi in una privazione della popolazione maschile del Nagorno Karabakh simile allo scenario di Srebrenica in quanto tutti gli uomini nel Nagorno Karabakh prestano servizio militare e la maggior parte di loro hanno combattuto durante la guerra contro l’Azerbaijan”. Tatikyan nota che “dopo questa detenzione arbitraria nessun uomo e forse nessuno si sentirà sicuro di passare attraverso il posto di blocco messo illegalmente al confine tra l’Armenia e Nagorno Karabakh, compresi coloro che sono gravemente malati e hanno bisogno di cure mediche in Armenia”.

Inoltre Baku ha bloccato le forniture di gas e elettricità, impossibile trovare benzina, è fermo il trasporto pubblico. Gli abitanti sono costretti a percorrere decine di chilometri a piedi per comprare pane o per andare all’ospedale. Ancor di più sono colpiti i gruppi più vulnerabili della popolazione come bambini e anziani, donne incinte e persone con disabilità.

Stiamo di fronte ad una catastrofe umanitaria senza precedenti. Giorni fa il Presidente di Nagorno Karabakh, Arayik Harutyunyan ha dichiarato che ”l’Azerbaijan sta trasformando Nagorno Karabakh in un campo di concentramento”. Parole che non hanno bisogno di essere interpretate e non lasciano spazio ai sentimenti. Si tratta dell’ennesimo appello alla communità internazionale ad agire con tutti i mezzi possibili per porre fine a questa tragedia prima che sia troppo tardi.

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