Sessantotto anni di vita. Due guerre mondiali. Una unica città di nascita, vita e morte: Hagen in Vestfalia. Terra di gente concreta, laboriosa e di poche parole. Una specie di Brianza della Germania. Da qui, Ernst Meister (1911-1979), dopo il forzato grande viaggio sul fronte russo, non si muove più. Vive appartato, chi desidera vederlo deve venire da lui. Nonostante nel corso degli anni ricevesse importanti premi letterari, pochi lo conoscevano e ancora meno lo conoscono oggi. Eppure, lo si poteva conoscere: come la traduttrice di questo piccolo dossier, che lo scoprì da ragazza nella biblioteca comunale della sua cittadina natia, contenente quanto bastasse per incontrare la poesia. Scriveva Ernst Meister: “Una poesia è un avvenimento che opera tramite se stesso nella concretezza del suo esistere”.

S. G.

JETZT
Jetzt.
Jetzt ist lange her.
Jetzt:
September −
nachmittags.

Geruch
warmer Asche.
So, als ob ich,
heute verbrannt,
selber die Asche wär.

Bin ich da?
Bin ich’s nicht?
Tellerrund
und von Äpfeln,
von Birnen schwer
ist das Licht.

Bin.
Bin mit den Blumen da.
Wimpern der Sonnen,
Kerne
in ihrem Pupillenkreis:

Augen,
meinen Augen ganz nah.

Bin nicht mehr?

Des Menschen Tag:
im bronzenen Dunkel
ein Blitz.

Jetzt:
Ein September,
nachmittags.
JETZT
ist lange her.

*
ORA
Ora.
Ora è tanto tempo fa.
Ora:
settembre –
pomeriggio.

Odore
di calda cenere.
Come se io stesso
bruciato oggi,
fossi cenere.

Sono qui?
Non sono io?
Tonda come un piatto
e pesante di mele,
di pere
è la luce.

Sono.
Sono qui con i fiori.
Ciglia dei soli,
noccioli
nel cerchio delle pupille:
occhi,
vicini ai miei occhi.

Non sono più?

Il giorno dell’uomo:
nel buio di bronzo
un lampo.

Ora:
un settembre,
pomeriggio.
ORA
È tanto tempo fa.

***

SAGE VOM GANZEN
den Satz, den Bruch,
das geteilte Geschrei, den
trägen Ton, der Tage
Licht.

Mühsam
im gestimmten Raum
die Zeit in den Körpern,
leidiges Geheimnis, langsam.
Tod immer.

(Und ich wollt doch
das Auge nicht missen
entlang den Geschlechtern nach uns.)

Sage: Dies ist kein anderes.
Sage: So fiel, in gemeiner Verwirrung,
der Fall. Sage auch immer:
Die Erfindung war groß.

Du darfst nur nicht
Liebe verraten.

*

DI‘ DEL TUTTO
la frase, la rottura,
le urla discordi, il
tono ozioso, la luce
dei giorni.

Faticoso
nello spazio accordato
il tempo nei corpi,
misero segreto, lento.
Morte sempre

(Ma non volevo rinunciare
all’occhio
lungo le stirpi dopo di noi.)

Dì: Questo non è un altro.
Dì: Così cadde, nella comune confusione,
la caduta. Dì sempre:
l’invenzione fu grande.

Solo l’amore non devi
tradire.

***

SPÄT IN DER ZEIT
wirst du sagen,
du seist

ein Mensch gewesen.

Du sagst es nicht,
kannst es nicht sagen –
du sagst es jetzt.

*

PIU‘ TARDI NEL TEMPO
dirai
che sei stato

un uomo.

Non lo dici,
non puoi dirlo –
lo dici ora.

***

(zu Montaigne)

Wie es einer
gedacht hat,
Sterben:

Sich drehn
von der Seite der
Erfahrung auf die

der Leere, un-
geängstet, ein
Wechseln der Wange,

nichts weiter.

*

(a proposito di Montaigne)

Come lo ha
immaginato,
morire:

Girarsi
dalla parte
dell’esperienza a quella

del vuoto, senza
paura, un cambiare
della guancia

nient’altro.

***

Lang oder kurz ist die Zeit,
und das Wahre,
das sich ereignen wird,
heißt Sterben.

Danach bist du
gleichsinnig mit
der Erde, dem Himmel,
die sich nicht wissen.
(Aber wer bist du noch?)

Was eigentlich hieß denn das:
geboren, Zeit zu gebären
im Unterfangen des Bewußtseins –
wozu “ich”?

*

Lungo o breve è il tempo,
e il vero
che succederà,
si chiama morire.

Dopo la penserai
allo stesso modo
della terra, del cielo
che non sanno una dell’altro.
(Ma chi altro sei tu?)

Che cosa significherebbe:
nascere, tempo di nascita
nell’impresa della coscienza –
a che scopo “io”?

***

Und was
will diese Sonne
uns, was

springt
aus enger Pforte
jener großen Glut?

Ich weiß
nichts Dunkleres
denn das Licht.

*

E cosa vuole
questo sole
da noi, cosa

salta fuori
dalla porta stretta
di questa grande brace?

Non conosco
nulla di più scuro
della luce.

***

Es schlug einer,
ein Lehrer,
mit dem Stock auf den Tisch:

Zu sterben, das ist
Grammatik!

Ich lachte.

Nimm den Leib
wörtlich, das Wort
leiblich.

Ich lachte.

Ich starb.

*

C’era uno,
il maestro,
che picchiava il bastone sul tavolo:

Morire, questa
è grammatica!

Ridevo.

Prendi il corpo
alla lettera, la parola
come se fosse corpo.

Ridevo.

Morivo.

***

Wisse, der Buchstab
ist tödlich.

Der Leib hat gehabt
seine Zeile,
langsame Zeit
und Spur.

Seine Vernunft
endet
im Seufzen
der Augen.

*

Sappi, la lettera
è mortale.

Il corpo ha avuto
il suo verso,
tempo lento
e traccia.

La sua ragione
finisce
nel gemere
degli occhi.

***

An schmaler
Grenze will ich hingehn,
ein Tier, doch mit
Gedächtnis.

Als wär ich
ein Mensch gewesen,
zu stolz und zu geizig –
ein Wünschender und Verwünschter.

Jetzt geh ich frei.
Viel ist vorüber.

*

Voglio andare
verso lo stretto confine,
un animale, ma dotato di
memoria.

Come se fossi
stato un uomo,
troppo orgoglioso e avido –
desideroso e maledetto.

Ora cammino libero.
Molto è passato.

***

„Ein Lebewesen,
es sei, welches
es will“ –
aber
dem Menschen
ist die Nacht
anders Nacht
als dem äugenden
Tier,

es sei denn,
man dächte
Eulen,
in deren Gesicht
besonders
Zweifel blüht.

*

„Un essere vivo,
che lo sia chi
lo vuole” –
ma
la notte
dell’uomo
non è la stessa notte
dell’animale
che guarda,

salvo
pensando
al gufo
sul cui viso
fiorisce
anzitutto il dubbio.

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