di Massimo Arcangeli*

Lo diciamo subito, così non ci pensiamo più. Non stiamo parlando di un libro contro il pensiero unico, o contro il politicamente corretto. Se fosse stato così ne avrei magari condiviso io stesso alcune riflessioni, essendomi più volte pronunciato contro l’uno e contro gli eccessi (soprattutto retroattivi) dell’altro, ma pensiero unico e politicamente corretto sono in realtà un alibi all’odio, alla discriminazione, al disprezzo. Non stiamo nemmeno parlando di un libro per il quale si possa invocare a man salva la libertà d’espressione, sebbene il libero pensiero e la sua verbalizzazione, tutelati dall’art. 21 della nostra Costituzione, siano il cardine di una qualunque democrazia che si rispetti.

Chi lo ha scritto, infatti, è un generale dell’esercito italiano e, in quanto tale, un alto rappresentante dell’istituzione che ha giurato di servire con onore. Il generale Roberto Vannacci, invece, ha disonorato la divisa che indossa perché Il mondo al contrario, un saggio che nessun editore serio avrebbe potuto mai pubblicare, peraltro scritto coi piedi, è il mondo osservato con gli occhi di un razzista, di un sessista, di un omofobo della peggior specie. E chi, come Matteo Salvini, è intervenuto in sua difesa, dichiarando per giunta di non aver nemmeno letto l’opera di cui parliamo, si dovrebbe conseguentemente dimettere da ministro della Repubblica.

Sul miserabile volume di Vannacci, le cui argomentazioni sono un’infantile accozzaglia di luoghi comuni, si è detto praticamente tutto ma vale la pena rileggere, anche in controluce, alcune affermazioni dell’autore che non si comprende come non abbiano suscitato l’indignazione generale e siano state giudicate decontestualizzate o, peggio, estrapolate artatamente da un ragionamento diverso da quello fatto trapelare dai passaggi più terribili. I peggiori sono concentrati nel capitolo Il pianeta lgbtq+++, dove il nefando pensiero del generale emerge in tutta la sua becera violenza.

“A pensarci bene, tranne rari estremismi, quello che accende le polemiche anche ai giorni nostri nei confronti dei gay non sono le disquisizioni critiche circa i gusti personali e le preferenze all’interno di una camera da letto ma i comportamenti ostentativi ed esibizionisti e, soprattutto, l’elevazione di una questione relativa al gusto sessuale ad una pretesa di diritti familiari, civili e sociali” (p. 237). Diritti familiari a parte, perché il dibattito in questo caso è stato – ed è tuttora – animoso, nella distorta e rabbiosa visione del generale sarebbero ancora in discussione, se parliamo di omosessualità, perfino i più elementari diritti di riconoscimento, rappresentazione e proiezione solidale e condivisa di sé – diritti civili per un verso, sociali per un altro verso – che una collettività di eguali, agli occhi dello Stato e dinanzi alle sue leggi, non può esimersi dal riconoscere a ciascuno dei suoi membri.

“Quanti i nostri nonni scippati, derubati, derisi, picchiati, abbandonati, seviziati, offesi approfittando della loro condizione di fragilità e debolezza. Ma tutte queste odiose azioni non innescano i titoloni da prima pagina che appaiono sui giornali quando a subire la stessa odiosa violenza è un gay” (p. 239). Forse perché i gay, come i neri, gli ebrei o le donne, hanno subìto per secoli e la lingua, da quel potente riflettore puntato sul mondo che è, ha puntualmente classificato le violenze e le discriminazioni nei loro confronti, sebbene esista anche l’ageismo – la discriminazione verso gli anziani –, dando loro un nome: omofobia, razzismo (e xenofobia), antisemitismo, misoginia e sessismo. Farebbero altrettanto scalpore, sulle prime pagine dei giornali, una scritta antisemita, un epiteto ingiurioso innescato dal colore della pelle dell’offeso o un atto di discriminazione sul lavoro ai danni di una persona di sesso femminile.

“Il masochismo è definito come una ‘anomalia’ e quindi non rientra nella normalità. Molto interessante far notare che l’omosessualità è universalmente riconosciuta come ‘variante non patologica dell’orientamento sessuale’ e quindi, come tale, come il masochismo, non può rientrare nella normalità anche tenuto conto delle percentuali estremamente minoritarie dei suoi adepti. Per anomalia si intende infatti ‘una deviazione dalla norma’ e la variante si definisce come ‘una differenza rispetto al tipo o alla media o alla norma’… Superfluo continuare!” (p. 241). Una condizione dell’essere e dell’esserci di cui è “superfluo” anche solo richiamare la nozione, tanto è evidente, apparentata a quella che si definisce un’“anomalia” – sia essa sessuale, morale, psicologica o altro – in un insensato sillogismo in cui si deformano o si confrontano arbitrariamente i significati delle parole perché si arrivi a pensare all’omosessualità come a una anormalità (quando è evidente che la variante è tale non perché sia patologica, per l’appunto, ma perché rappresentativa di un minor numero di persone). D’altronde lo dice a chiare lettere, il generale, e la sua affermazione è dunque perfettamente calata nel contesto, appena due pagine dopo: “Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!” (p. 243).

Il bacio fra il carabiniere Angelo Orlando e il suo compagno a suggello dell’unione civile che si è celebrata il 9 maggio scorso in una masseria pugliese sarebbe un caso di “eccentricità […] ostentata” che andrebbe a “disturbare il pensiero e i valori comuni” (p. 244), ma fra i passaggi più sprezzanti del capitolo c’è lo squallido e vergognoso avallo della discriminazione subita di recente dai due omosessuali cui non si è voluto affittare un appartamento a Milano: “se l’appartamento è privato i proprietari saranno liberi di farne ciò che vogliono e di locarlo a chi intendono loro? Inoltre, se l’immagine del mondo non etero ha qualche pur minima relazione con le sconcezze e le turpitudini che ormai da anni vengono ripetutamente e orgogliosamente messe in mostra al Gay Pride, quei proprietari hanno poco da essere biasimati” (p. 282 sg.). D’altronde cosa ti puoi aspettare da uno che rivendica “a gran voce […] il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente” (p. 281) e, infastidito dallo stranierismo gay, non pago di deridere il modo in cui un omosessuale potrebbe camminare per strada, rimpiange i tempi (p. 259) in cui gli si poteva dare tranquillamente del frocio o del finocchio, del culattone o del ricchione, della bardassa o della checca?

Ma Il mondo al contrario, purtroppo, è anche la spia di un pensiero profondo che, specialmente in tema di omofobia e di sessismo, è ancora ben lungi dall’essere stato sradicato dal nostro paese. Altrimenti non si spiegherebbe come mai la storia della musica trap sia costellata di insulti e violenze verbali all’indirizzo delle donne e dei gay, e come perfino l’Istituto della Enciclopedia italiana Treccani non prenda le distanze, rimuovendole – o corredandole delle necessarie avvertenze – da contributi “scientifici” presenti in alcune sue opere, liberamente consultabili online, che fanno orrore. Gli estratti che seguono provengono dalle voci omosessualità e pedofilia redatte rispettivamente da Philippe Brenot e da Ugo Fornari per l’Universo del corpo (1999-2000), un’opera treccaniana in sei volumi.

Per Brenot l’omosessualità maschile può focalizzarsi “su un adolescente, su un uomo maturo, su un uomo anziano, o ancora, nel caso della pulsione pedofila, su un bambino impubere”; le relazioni omosessuali fra uomini “si riducono, nella maggior parte dei casi, a brevi incontri con un partner sconosciuto che non si vedrà mai più” (relazioni “furtive […] caratterizzate dalla clandestinità” che “assomigliano ai comportamenti degli adolescenti quando temono di essere rimproverati dai genitori. Pochi omosessuali stringono relazioni passionali”); l’omosessualità femminile è “diretta a rimarginare una ferita ancora troppo minacciosa” (la donna, opponendosi al desiderio del maschio, sconterebbe il trauma prepuberale di essersi arrestata “a uno stadio dello sviluppo affettivo che precede quello della differenziazione sessuale” e l’ingombrante immagine paterna, che “può suscitare paura, odio, essere rifiutata oppure troppo amata”, finirebbe per farla regredire e ostacolare in lei la “possibilità di amare un altro uomo”; intanto quella donna, onde “evitare” l’altro sesso, potrebbe aver intrattenuto “relazioni incestuose con un padre o con un fratello”).

Per Ugo Fornari, “analogamente a quanto ipotizzato per il comportamento omosessuale, la pedofilia ‘benigna’ rappresenterebbe una formazione reattiva contro impulsi ostili e omicidi nei confronti di bambini. L’ostilità latente, ma presente in questa perversione (come in alcune forme di omosessualità e di stupro), può invece esprimersi in attività erotiche parziali esercitate sul bambino (pederastia) e, andando al di là di queste, finire con l’assassinio”. E ancora, come non bastasse: “il bambino violentato dal padre non può identificarsi con lui, interiorizzarlo e costruire quell’oggetto interno che gli permette di sentirsi a sua volta maschio, uomo e padre (la fissazione omosessuale o pedofilica)”.

Gli omosessuali, secondo l’istituto Treccani, sono dunque anaffettivi, immaturi e potenziali pedofili o assassini di bambini, quando non passibili di essere messi sullo stesso piano degli stupratori; le lesbiche, invece, sarebbero povere donne traumatizzate da bambine. Roba che neanche Mario Adinolfi, Silvana De Mari o Carlo Giovanardi. Un altro che ha avuto la faccia tosta, dichiarando però di averlo letto attentamente il libro del generale, di pronunciarsi in difesa di Roberto Vannacci.

* linguista, critico letterario, opinionista e conduttore televisivo

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