Il numero di persone nel mondo che non ha accesso alle risorse idriche potrebbe salire a tre miliardi dai due attuali entro il 2050, a causa dell’impatto del cambiamento climatico sulla disponibilità di acqua in aree sempre più vaste di Africa, Asia e Medio Oriente. A fornire il dato è Oxfam (la federazione di ong contro la povertà) in un rapporto sugli effetti devastanti della crisi idrica, innescata dal riscaldamento globale e dall’alternarsi di siccità e inondazioni sempre più violente, che “asseterà il mondo” e “porterà un aumento esponenziale di fame, migrazioni forzate ed epidemie: nel prossimo futuro, nei dieci Paesi più colpiti dalla crisi climatica, la malnutrizione cronica crescerà del 30%” ed entro la metà del secolo “potrebbero esserci fino a 216 milioni di migranti climatici a livello globale, tra cui 86 milioni solo in Africa sub-sahariana“, segnala il dossier, il primo di una serie sullo stesso argomento, diffuso nella Settimana mondiale dell’acqua (dal 21 al 24 agosto).

L’organizzazione sottolinea che “già oggi in media un pozzo su cinque scavato da Oxfam nelle aree più colpite dell’Africa è completamente asciutto“, ma nonostante ciò “è stato finanziato appena il 32%” degli interventi incoraggiati dall’Onu per fronteggiare l’emergenza idrica globale e per un aumento immediato degli aiuti cruciali per salvare la vita di milioni di persone. Nei prossimi anni, segnala il dossier, “aree sempre più vaste e spesso poverissime del Pianeta saranno colpite da una sempre maggiore carenza d’acqua. Una crisi idrica di portata epocale che diverrà sempre di più conseguenza diretta della crisi climatica, poiché causata in gran parte dal riscaldamento globale accelerato dalle emissioni di gas serra, con conseguenze drammatiche sull’aumento di fame, malattie, e migrazioni forzate di massa”.

La situazione “dev’essere affrontata prima che sia troppo tardi per tantissimi”, incalza Paolo Pezzati, policy advisor sulle emergenze umanitarie di Oxfam Italia.Quella che abbiamo di fronte, sottolinea, “è una delle più gravi minacce che l’umanità si trova ad affrontare e a pagarne il prezzo più alto sono già i Paesi più poveri e meno preparati, che paradossalmente spesso sono anche i meno responsabili delle emissioni inquinanti. Ne abbiamo già la dimostrazione plastica nel nostro lavoro quotidiano per portare acqua alle comunità più colpite in tutto il mondo. I nostri ingegneri sono costretti a scavare pozzi sempre più profondi, più costosi e più difficili da mantenere in funzione, spesso solo per trovare falde già esaurite o inquinate. I terreni sono aridi e dobbiamo scavare sempre più a fondo o impiegare tecnologie di desalinizzazione che a volte non funzionano, con costi sempre maggiori, proprio mentre gli aiuti internazionali per fronteggiare l’emergenza idrica stanno calando”.

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