di Francesco Maiello

Non poteva essere diversamente, la morte di Marc Augé ha suscitato un grande rammarico. Certo, lo studioso per il quale “la vecchiaia non esiste” aveva i suoi 87 anni, ma chi lo ha conosciuto da anziano testimonia della lucidità mentale e della freschezza inalterata del suo spirito e del suo pensiero.

Augé è stato molto amato in Italia. Se il grande medievista Jacques Le Goff usava sempre dire di avere avuto tre patrie (Francia, Italia e Polonia), Augè ha sempre considerato l’Italia la sua seconda patria. Eppure… eppure Augé nel panorama editoriale (e non solo) italiano non ha avuto vita facile. Ho avuto modo di stare a contatto con il grande antropologo per quasi un ventennio (80-90, sebbene la conoscenza risalga alla fine degli anni Settanta), e di essergli stato amico; il mio secondogenito si chiama Marco, in suo onore.

Durante questo ventennio sono stato prima incaricato (chargé) e poi associato alla EHESS di cui egli era diventato presidente. Il merito di questa conoscenza fu di Jacques Le Goff il quale, un giorno, mi disse: “Francesco, occorre che lei conosca Marc Augé. È un giovane antropologo di grande valore e farà molta strada”. Quando mi presentai a lui trovai una persona dalla gentilezza imbarazzante, di una semplicità disarmante e privo nel parlare (come nello scrivere) di qualsiasi parisianisme tanto di moda allora come oggi in gran parte dell’accademia francese.

Mi offersi di tradurre un suo saggio e di inserirlo in una pubblicazione per Lerici da me curata intitolata Antropologia e potere (1979). Non vorrei sbagliarmi ma credo sia stato il primo testo di Augé tradotto in italiano, perché la sua collaborazione alla Enciclopedia Einaudi è posteriore.

Se la memoria non mi tradisce, all’epoca della mia collaborazione all’Ecole, di testi non strettamente riconducibili alla sua formazione di africanista Augé aveva all’attivo Pouvoir de vie, pouvoir de mort e Symbole fonction et histoire. Les interrogations de l’anthropologie. Chiesi a vari editori di quelli con la toga e la parrucca di pubblicarli. No. Il no mi venne anche da editori presso i quali godevo di un certo credito. Laterza, presso il quale avevo pubblicato L’intervista sulla storia con J. Le Goff e avevo curato la raccolta di saggi del medesimo autore con il titolo Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente Medioevale, fu quasi sprezzante. Mondadori e il Saggiatore, presso le quali case editrici ero divenuto consulente per l’antropologia e l’antropologia storica, furono altrettanto decisi nel no. Anzi a dire il vero il Saggiatore si dimostrò disponibile a pubblicare un lavoro di cui Augé, unitamente a Claudine Herzlich, era “solo” curatore, Il senso del male. Antropologia, storia, sociologia della malattia (1986) la cui edizione italiana fu da me curata.

Dei due titoli cui ho fatto riferimento, il primo è stato pubblicato solo nel 2003 (ed. or. Flammarion 1977), malgrado che per svariate circostanze fosse a disposizione anche già una traduzione in italiano, per il secondo fu disponibile solo l’editore Liguori di Napoli perché l’insigne studioso Vittorio Lanternari fu sensibile ad un’adozione del testo. Inutile dire che tradurre il testo non mi arricchì.

La direzione editoriale della Mondadori era cambiata e il nuovo direttore fu così gentile da venire a Parigi invitando a pranzo Marc Augé, sua moglie Françoise Héritier (illustre antropologa professore al Collège de France) e me. La sua idea andava incontro ad una esigenza più volte espressa da Augé: perché non chiedere a questo illustre africanista un libro sulla modernità contemporanea? Augé accettò e a breve giro scrisse La traversé du Luxembourg, Un ethnologue dans le métro e Non lieux. Pour une anthropologie de la surmodernité. La richiesta del direttore editoriale della Mondadori era stata una coincidenza felice perché andava incontro ad una esigenza che Augé avvertiva da tempo. Un giorno mi invitaò a pranzo a casa sua all’epoca in avenue de Lowendal. Vi trovai Jean-François Lyotard. Sono sempre stato grato ad Augé per quell’invito perché, silenzioso, assistetti ad un dialogo molto interessante in cui Augé sosteneva, non senza ragioni dal mio punto di vista, che il nostro mondo era un mondo surmoderno e non post-moderno.

Lì prese corpo l’idea dei Nonluoghi che senza esito mi affrettai a segnalare al direttore editoriale della Mondadori, il quale, sbirciati i tre volumi, mi disse che l’importanza di Augé come africanista era fuor di dubbio ma per altri versi la sua “penna lasciava a desiderare”. Tutti gli altri tentativi (Saggiatore, Laterza, e un altro paio che non ricordo) furono infruttuosi. Un giorno leggo un breve articolo su Panorama, su cui avevo pubblicato un paio di articoli, relativo ad una piccola ma interessantissima casa editrice di Milano: Eleuthera. Perché no. Telefono, mi ricevono (all’epoca in via Rovetta in uno spazio che era poco più o poco meno di un sottoscala). Conosco Rossella di Leo: mi sento a casa. Sessantottina (ci si riconosce al volo), intelligente, pronta a scommettere, legge i libri e si innamora dell’Etnologo nel metrò e dei Nonluoghi. Li pubblica. Li traduco (per i Nonluoghi chiedo in prestito lo pseudonimo di una amica parigina, Dominique Rolland) e scrivo anche una introduzione all’Etnologo nel metrò.

Non vorrei avere l’ipertrofia dell’Io ma non trovo nessuno pronto a fare una prefazione. Cos’è? Antropologia, sociologia, letteratura. Cerco di spiegarlo nella introduzione. Non sta a me dire se ci riuscii. Per i Nonluoghi la Di Leo è d’accordo con me, non serve una prefazione, il testo è esaustivo e chiaro. Sono contento perché viviamo in un paese in cui pare che i testi vengano tradotti per consentire agli italiani di scrivere delle prefazioni.

Il testo che gli editori in toga e parrucca hanno ostinatamente rifiutato era alla diciottesima edizione circa otto anni fa, l’ultima volta che ho sentito Rossella di Leo al telefono. Comunque si tratta dei due testi che hanno reso famoso Augé nel nostro paese. La cosa è ancor più meravigliosa se si pensa che la casa editrice Eleuthera fece molto per promuoverli, e qualche volta io ne fui anche coinvolto, ma certamente l’ufficio stampa non era paragonabile a quello delle case editrici in toga e parrucca i cui autori finiscono in terza pagina anche quando si grattano il naso.

Insomma, agli inizi una notorietà tutta fondata su meriti culturali e sforzi organizzativi di una piccola struttura editoriale. Si sarebbe portati a pensare che, dopotutto, sia stato relativamente facile. Per nulla: se si scorre la bibliografia italiana di Augé si scopre che con l’eccezione di Boringhieri nessun altro editore con la parrucca si è interessato a lui.

In Italia Augé ha visto la luce per i tipi di Eleuthera, Cortina, La compagnia della stampa Massetti Rodella, Associazione Culturale Eterotopia, Consorzio per il festivalfilosofia, Jaca Book, Meltemi, Bruno Mondadori, EDB, Mimesis, Angeli, Anabasi, L’Harmattan Italia, Codice, Ei Editori, Marinotti, Castelvecchi. Alcune di queste case editrici non esistono più, forse questa mia nota potrebbe essere uno spunto per chiedersi se dopotutto in questo paese la cultura non sia retta in gran parte da una editoria piccola e coraggiosa, completamente dimenticata dalle istituzioni.

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