Il New York Times vuole impedire che ChatGpt si “alleni” studiando i propri articoli e ha quindi bloccato il software della società OpenAi che immagazzina i contenuti. L’elemento più controverso risiede proprio nel fatto che la società ha bisogno di ingerire enormi quantità di dati e informazioni per allenare i propri modelli di intelligenza artificiale e a questo scopo scansiona milioni di siti web, raccogliendo le informazioni retrostanti i contenuti pubblicati. Ma ora, davanti alla minaccia di una intelligenza artificiale in grado di ‘imparare’ è dai siti di notizie gli editori si attrezzano a una battaglia per la difesa del diritto d’autore.

Come conferma il sito statunitense di informazione tecnologica The Verge, il New York Times ha già provveduto a bloccare i bot di Open Ai che svolgono questa funzione di immagazzinamento dati, una pratica di protezione che comincia a prendere piede anche tra altri grandi siti web. A confermare questo blocco è la pagina robots.txt del New York Times in cui è chiaramente indicato il blocco del software che ‘immagazzina’ i pezzi. Il quotidiano newyorkese non esclude inoltre la possibilità di far causa a OpenAi per violazione del diritto d’autore.

Un’azione legale non sarebbe la prima per ChatGPT: almeno due autori hanno infatti fatto causa contro i suoi bot. A ricorrere contro OpenAI è stato anche il legale e programmatore Matthew Butterick, secondo il quale le pratiche della società sono simili alla pirateria software. Ma tra editori e creatori di contenuti – agenzie fotografiche, creativi freelance, scrittori e autori- sono moltissime le categorie interessate a porre un argine allo “sfruttamento” dei propri contenuti da parte dell’intelligenza artificiale.

Il nodo è appunto sull’utilizzo del cosiddetto web crawler, che scansiona milioni di siti internet e le informazioni contenute in essi, il tutto senza chiedere esplicitamente il permesso a coloro che detengono il diritto d’autore sui contenuti presenti nei siti scandagliati. Per questo, visionando le pagine robots di altri grandi siti, emerge come la prassi di bloccare questi bot sia sempre più diffusa. Questo tentativo di difendere il proprio diritto d’autore peraltro rischia di dare un colpo terribile allo sviluppo dell’intelligenza artificiale (che ha bisogno – per fornire risultati attendibili – di ‘ingerire’ una enorme quantità di dati e informazioni).

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