Il record di panchine in Serie A, Francesco Totti lanciato in prima squadra, quel rapporto speciale con Roberto Baggio, la pazza corsa verso la curva dell’Atalanta quando sedeva sulla panchina del Brescia. Quanti momenti si ricorderanno della quasi quarantennale carriera di Carlo Mazzone, detto Sor Carletto o Sor Magara, andatosene sabato 19 agosto all’età di 86 anni al termine di una vita trascorsa in tuta, berretto e giaccone oversize a dimenarsi e strillare dalla panchina con il suo inconfondibile accento romanesco. Protagonista e simbolo di un calcio verace, lontano da bolidi e lustrini, molto italiano. Un calcio popolare e vero, come vero era Mazzone, che negli ultimi anni – con l’aiuto di figli e nipoti – era stato amato e coccolato sui social dove raccontava la sua vita da nonno con post familiari e semplici. Si è spento ad Ascoli Piceno, la sua seconda casa, dove ancora in vita gli avevano già intitolato un settore dello stadio. Era nato a Roma il 19 marzo 1937 e la sua carriera da calciatore si era sviluppata soprattutto nella città marchigiana dopo brevi esperienze con le maglie di Latina, Roma, Spal e Siena.

Quando era passato alla gestione da bordo campo era ripartito proprio da Ascoli, giovanili prima e prima squadra poi. Quindi un lungo girovagare per l’Italia toccando altre undici tappe: Fiorentina, Catanzaro, Lecce, Pescara, Napoli, Livorno, Roma, Brescia, Perugia e, più volte, Cagliari e Bologna dove raggiunse la Coppa Uefa. Sempre amatissimo dal pubblico e dai suoi uomini, da Antognoni fino a Francescoli, avuti a Firenze e Cagliari. Due calciatori sono stati “suoi” più di tutti gli altri, Francesco Totti e Roberto Baggio, i maggiori interpreti tecnici del calcio di casa nostra negli ultimi trent’anni. Perché questo era Mazzone: un esaltatore del talento, sempre anteposto a tattica e schemi. Fu così che svezzò Totti nella sua Roma, mentre a Baggio, una sorta di figlio prediletto, regalò un finale di carriera incredibile. Tanto che il Divin Codino nel 2000 volle una clausola sul suo contratto quando firmò a Brescia. Recitava più o meno così: se Mazzone viene esonerato, sono libero di andare via. Il binomio, durato quattro anni, sarebbe valso tre salvezze e una qualificazione all’Intertoto con quasi approdo in Coppa Uefa.

“Un gigante di umanità. Per lui avrei fatto anche l’impossibile. Gli ho sempre voluto e gli voglio bene perché è sempre stato un uomo puro, vero. Lui più di tutti aveva capito che persona sono”, ha raccontato Baggio a Sportweek in un’intervista andata in edicola poche ore prima che Mazzone si spegnesse. Il miglior epitaffio dal più grande talento del calcio italiano. Non l’unico riconoscimento per Mazzone dai grandi talenti passati sotto le sue mani. Sempre a Brescia allenò Pep Guardiola, che nel 2009 prima lo invitò alla finale di Champions League tra Barcellona e Manchester United e poi gli dedicò la vittoria specificando di averlo nel suo pantheon. Tra le intuizioni di Sor Carletto anche lo spostamento di Andrea Pirlo davanti alla difesa, sempre ai tempi delle Rondinelle. Fu il cambio tattico che lo lanciò: “Lo arretrai e lo piazzai davanti alla difesa, gli spalancai un mondo nuovo. Era il suo ruolo, era lì che doveva giocare. Prima era un trequartista come tanti, diventò il regista più forte del mondo”, raccontò anni fa a Repubblica. Con una specifica, alla Mazzone: “Ma non per merito mio, eh: parliamo di un campione assoluto, uno che ha il calcio nel dna, sarebbe successo comunque”.

Un puro, per dirla alla Baggio. Un uomo di campo, senza fronzoli, per 38 anni e in tutte le 795 partite allenate in Serie A, 792 di campionato più 3 spareggi. Nessuno come lui. Anche nelle reazioni, di pancia e di cuore, come quando il 30 settembre 2001 inscenò una nelle immagini più veraci del calcio italiano diventata negli anni la base di meme e gif. Al termine di un Brescia-Atalanta, pareggiato in extremis dalla sua squadra, Mazzone corse a perdifiato verso la curva bergamasca dopo aver ingoiato gli insulti degli ultras nerazzurri e aver “promesso” loro il 3-3 appena Baggio siglò il 3-2. Non aspettò neanche il rosso dell’arbitro, sapeva di aver esagerato e lo disse lui direttamente: “Sì, lo so me ne vado”. Fu un gesto liberatorio che non rinnegò mai. Nel 2021, ricordando quell’episodio, scrisse sui social: “Ne è passato di tempo! Non smetterò mai di ringraziarvi che a distanza di tanti anni vi ricordate di me e che mi volete bene! Vi voglio bene”. Commentarono in migliaia, innamorati di una Serie A che non c’è più. Quella moderna ricomincia oggi. Per la prima volta senza mister Carletto Mazzone, recordman di panchine ed esaltatore di talento.

Twitter: @andtundo

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