La presidente dell’Antimafia Chiara Colosimo posta una story su Instagram intitolata “Letture estive” e sul tavolino si vede il bel libro-intervista su Gaspare Spatuzza scritto dalla professoressa Alessandra Dino.

Sembra quasi che Giorgia&Chiara cerchino quotidianamente motivi per mettersi in rotta di collisione con la “Famiglia”, ma se è soltanto ipotizzabile questo intento, non nutro dubbi su come andrà a finire. Finirà in niente, perché la “Famiglia” è la “Famiglia” e non c’è nulla a destra che la sovrasti. D’altra parte a destra la famiglia è sacra, anche quando di tradizionale ha poco.

Ma andiamo con ordine.

Per Giorgia&Chiara, Paolo Borsellino è un eroe civile di prima grandezza, lui più di altri, perché sentito culturalmente affine. Giorgia Meloni ha più volte raccontato di aver iniziato il suo impegno politico come reazione alla strage di Via D’Amelio e Chiara Colosimo, che con Meloni condivide un percorso simbiotico, diventata presidente della Commissione parlamentare Antimafia il 23 maggio di quest’anno nonostante le decise proteste dei famigliari delle vittime delle stragi, ha messo subito nel mirino la strage di Via D’Amelio, dichiarando di voler fare piena luce sui fatti che portarono alla morte di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta.

Intento, questo, certamente lodevole, perché sappiamo quanto ancora ci sia da chiarire sia sui 57 giorni che separano le due stragi, sia sul più grande depistaggio della storia repubblicana, iniziato con le auto che ancora bruciavano in via D’Amelio e continuato fino ai giorni nostri (visto che la giustizia ha accertato colpe, ma non colpevoli). E Colosimo, in vista dell’annunciata campagna d’autunno per dissipare ogni nebbia, che fa? Studia Spatuzza!

E forse non sa che così imbocca una strada scoscesa che di certo passa per Via D’Amelio, ma che conduce dritta dritta al bar Doney di Roma, a quei giorni di gennaio del 1994 quando, per dirla con i 99 Posse: “tutto doveva succedere, niente sembrava possibile”.
Indubbiamente infatti Gaspare Spatuzza, mafioso al seguito dei Graviano di Brancaccio, è stato decisivo per abbattere il castello di menzogne costruito attorno al falso pentito Scarantino e ha fornito un contributo importante per la ricostruzione della strage di Via D’Amelio, autoaccusandosi della sua realizzazione ed illuminando anche la presenza nelle fasi esecutive dell’attentato di soggetti estranei a Cosa Nostra. Ma Spatuzza è anche il collaboratore che racconta dei contatti tra Graviano e Dell’Utri, che sembrano condizionare soprattutto la stagione delle bombe del ’93 (a cominciare da via Fauro a Roma, dove a saltare in aria doveva essere Maurizio Costanzo) e che conducono fino al fallito attentato all’Olimpico di Roma del 23 gennaio 1994 (Roma-Udinese), che avrebbe dovuto fare strage di carabinieri.

In quei giorni di gennaio 1994 Roma brulicava di uomini del Biscione intenti a mettere a punto la macchina organizzativa di Forza Italia, Dell’Utri risiedeva all’Hotel Majestic che sta a poche centinaia di metri dal Bar Doney, dove Giuseppe Graviano, già latitante e super ricercato, si sentì al punto sollevato e ottimista da invitare Spatuzza a prendere qualcosa, per festeggiare: si erano messi il Paese nelle mani, grazie alla serietà dei nuovi interlocutori, che non erano dei “crasti” come i socialisti (dei democristiani, morti e sepolti, già non si parla più).

L’attendibilità di Spatuzza oggi non viene più messa in discussione, ma scoprirà Colosimo, leggendo delle peripezie di Spatuzza, pluriomicida autoaccusatosi dell’assassinio di don Puglisi e del sequestro del piccolo Di Matteo, che non è sempre stato così : anzi, nel 2009 la Commissione Centrale presso il Viminale, che gestisce collaboratori e testimoni di giustizia, negherà a Spatuzza lo status definitivo di collaboratore di giustizia, preferendo mantenerlo nella precaria condizione di chi sta al programma provvisorio. Scoprirà Colosimo che allora (ultimo governo Berlusconi) a capo della Commissione Centrale del Viminale c’era Alfredo Mantovano, oggi potentissimo Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, cioè braccio destro a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni.

Insomma, mettersi in mano il “filo-Spatuzza” per farsi strada nel labirinto dei rapporti indicibili tra mafia e Stato rischia di portare la presidente Colosimo pericolosamente vicina al Minotauro, che resiste nella memoria militante della “Famiglia”.

Chissà che la sodale Giorgia, avvertita dal solerte Alfredo, non faccia in tempo a suggerire altre letture alla troppo intraprendente Chiara, prima che la “Famiglia” decida di tirare di nuovo le orecchie alle Sorelle d’Italia. Lo hanno fatto quando Meloni liquidò le parole di Marina Berlusconi sui magistrati bollati di insopportabile ostinazione. Lo hanno di nuovo fatto sulla bella trovata di tassare gli extraprofitti delle banche.

Fin qui pare – questa la mia convinzione che attende con ansia di essere smentita dai fatti – che il dispiacere della “Famiglia” sia legge per questa destra al governo, che ha un debito enorme nei suoi confronti e non soltanto di riconoscenza. Ma su questo tornerò più avanti, per un anniversario a me molto caro, quello della morte di Libero Grassi.

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