La risposta della Cina alla nuova stretta americana sull’hi-tech di Pechino è arrivata. E il colpo più duro ha dovuto incassarlo Intel Corp., il gigante americano dei semiconduttori, che ha visto saltare un accordo di fusione da 5,4 miliardi col produttore di chip israeliano Tower Semiconductor Ltd per la mancata approvazione dell’antitrust cinese. Adesso l’azienda di Santa Clara dovrà pagare a quella israeliana, che ha visto le proprie azioni a Wall Street andare giù di 11 punti percentuali nelle negoziazioni pre-market, una penale da 353 milioni di dollari.

Per concludere la fusione i due colossi stavano attendendo solo l’ok da parte di Pechino. In realtà, l’azienda israeliana non ha stabilimenti nella Repubblica popolare, ma la legislazione locale prevede che le aziende con un fatturato di almeno 55 milioni di dollari in Cina siano soggette al vaglio dell’antitrust locale. Senza il benestare dell’agenzia regolatrice, quindi, Intel avrebbe rischiato di compromettere i propri affari col gigante asiatico. L’amministratore delegato di Intel, Pat Gelsinger, aveva provato a ottenere l’approvazione dalle autorità di regolamentazione cinesi visitando il Paese il mese scorso per incontrare i funzionari del governo. Ma evidentemente non è stato sufficiente. “Dopo un’attenta considerazione e discussioni approfondite e non avendo ricevuto indicazioni in merito a determinate approvazioni regolamentari richieste, entrambe le parti hanno concordato di rescindere il loro accordo di fusione dopo aver superato la data prevista per il 15 agosto 2023”, ha così annunciato Tower Semiconductor in una nota.

Al di là delle questioni burocratiche, è evidente come l’atteggiamento delle autorità di Pechino sia legato al nuovo capitolo della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina rilanciato pochi giorni fa dall’amministrazione Biden. Dopo la decisione della Casa Bianca di consentire al segretario al Tesoro di vietare o limitare gli investimenti statunitensi in aziende, istituzioni, entità cinesi, comprese quelle delle città di Macao e Hong Kong, che operano nell’hi-tech, andando a colpire soprattutto i settori dei semiconduttori e microelettronica, tecnologie dell’informazione quantistica e sistemi di intelligenza artificiale, una ritorsione cinese era attesa.

Anche se non è la prima volta che il Dragone fa saltare accordi miliardari di aziende americane. Come riporta Reuters, l’anno scorso DuPont De Nemours Inc ha annullato il suo accordo da 5,2 miliardi di dollari per acquistare il produttore di materiali elettronici Rogers Corp sempre a causa di ritardi nell’ottenere l’approvazione da parte delle autorità di regolamentazione cinesi. Come invece ricorda La Stampa, nel 2018 Qualcomm ha annullato l’acquisto da 44 miliardi di dollari del produttore di chip olandese Nxp Semiconductors sempre a causa della mancata approvazione cinese entro le scadenze previste.

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