“Quando, nel ’69, sono arrivata in Italia dagli Stati Uniti per girare Colpo rovente, un giallo finto-americano di Pietro Zuffi, non parlavo la vostra lingua, ma solo inglese e tedesco”, mi raccontava Barbara Bouchet, quando (nell’ormai lontano ‘99) mi fece l’onore di scrivere la prefazione del mio libro La Commedia erotica italiana.

Oggi Barbara è un’ottantenne sempre bellissima, nata il 15 agosto del ’43 a Liberec, nell’attuale Repubblica Ceca, città che è presto costretta ad abbandonare dopo l’occupazione sovietica della Germania. Suo padre, Fritz Gutscher, è stato un fotografo e sua madre, Ingrid Bouchet, un’attrice della quale la figlia ha mantenuto il cognome. La famiglia viene reclusa (cinque pargoli compresi) in un campo profughi di etnia tedesca, nella Germania ormai in mano agli alleati, ottenendo, infine, un visto per la California.

Barbara, che sin da bimba vuole diventare una ballerina classica, aveva già frequentato in Germania, nonostante le difficoltà, un corso di danza. Mi ha raccontato, in una delle molte interviste che mi ha concesso: “Negli Usa, dopo un periodo durissimo durante il quale raccoglievamo cotone per tirare avanti, partecipai a un concorso e conquistai il titolo di Miss China Beach. Fui poi protagonista di uno spot di parrucche che andava in onda in tv a ore impossibili e vinsi un concorso per la ragazza che somigliava di più a Sandra Dee. Per la verità, io non le somigliavo affatto … Decisi di andare a Los Angeles, abitavo a casa di una modella amica di papà. Mi iscrissi alla Hollywood Professional School. Fra i miei compagni di corso c’erano Ryan O’Neal e Ali MacGraw…”.

Questo lungo prologo per sottolineare come per la Bouchet arrivare al successo sia stato tutt’altro che agevole. Erano altri anni, indubbiamente…

Il primo film in cui appare Barbara è Bedtime Story (’64, in Italia I due seduttori) di Ralph Levy accanto a due pezzi da novanta come Marlon Brando e David Niven. Poi si ritrova con Jack Lemmon, Robert Mitchum e Shirley MacLaine, Doris Day e James Garner, Tony Curtis, Bob Hope, Kirk Douglas e John Wayne.

Non sto a citare tutti i titoli per non annoiare, ma va ricordato che per un po’ Barbara resta inchiodata ‘in panchina’ a un contratto con Otto Preminger girando un solo film, ovvero In Harm’s Way, da noi Prima Vittoria (’65) nel quale, per lo meno, è accreditata, a differenza della maggior parte dei precedenti dove il suo nome appare solo tre volte. Finalmente ‘libera’ da Preminger può partecipare a film, anche di rilievo, con altri registi (basti pensare a 007 James Bond Casinò Royale, quello del ’67, dove interpreta Miss Money Penny e che le porta grande notorietà al Festival di Cannes dove, ammette lei stessa, “indossavo costantemente un bikini rosso che conservo ancora”. Poi un altro paio di film e persino un’apparizione in Star Trek.

Ci si chiede, allora, chi glielo ha fatto fare a trasferirsi in Italia dove si è sposata con Luigi Borghese, scomparso nel 2006, e ha messo al mondo due figli: Alessandro, noto chef, e Max, che lavora con il fratello. Ma come è arrivata in Italia la Bouchet? “Un produttore, Roberto Loyola, venne in America a cercare Candice Bergen come protagonista di Colpo Rovente (nel film c’erano anche Carmelo Bene e Isa Miranda, ndr) che avrebbe diretto un certo Piero Zuffi, regista alla sua prima – e credo anche ultima – prova cinematografica. Era uno che veniva dal teatro. Sul tavolo dell’agente di Candice c’era la rivista ‘Hollywood Variety’ con una pagina dedicata a me. Loyola la vide e chiese all’agente se almeno io fossi disponibile, ma mi disse che, pur andandogli bene, dovevo tingermi i capelli di nero e cambiare il nome: Barbara Bouchet non andava bene. Accidenti – risposi – ma voi venite dall’Italia, cercate una bionda ma la volete nera e per di più pretendete di cambiare il nome con cui sto avendo un buon successo. Siete matti!”. Finisce che le mettono una parrucca, il nome resta e Barbara vola a Roma.

Qui ha inizio la carriera della Bouchet più conosciuta dagli italiani, quella dei decamerotici, delle tante commedie sexy con Montagnani, Buzzanca, Banfi e i seriali protagonisti di quella sexy stagione, diretti un po’ da tutti i registi e gli artigiani di commedie anni 70-80. Sono troppi da citare, i film del suo carnet italiano, solo le commedie oltre una cinquantina. Ricordo i suoi film che mi hanno lasciato un segno: Non si sevizia così un Paperino (’72), un bel thriller morbosetto di Lucio Fulci con Tomas Milian, Florinda Bolkan e Irene Papas dove Barbara seduce un ragazzino (controfigurato da Domenico Semeraro, detto il nano della Stazione Termini, che verrà ucciso anni dopo per una torbida vicenda di sesso); il grande Milano calibro 9 di Fernando Di Leo in cui Barbara si esibisce nella parte di una indimenticabile go-go dance con un micro-bikini di perline; il film più amato da Barbara è però – mi ha confessato – Valeria dentro e fuori (’72) di Brunello Rondi, dove ha un inconsueto ruolo drammatico, ovvero una tormentata donna con problemi psichiatrici.

E i tanti film di Sergio Martino (gialli e commedie sexy), quelli erotici come Alla ricerca del piacere (’72) di Silvio Amadio con una memorabile scena lesbo fra la Bouchet e la splendida Rosalba Neri (“Ci vediamo ancora, ogni tanto, con Rosalba, per fare la spesa al super vicino casa nostra”). Infine una sorta di ritorno alle origini americane con Gangs of New York di Martin Scorsese dove è Mrs. Schermerhorn. Bel colpo (ancora una volta ‘rovente’ come il titolo del suo primo film).

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