Maladepurazione, scarichi abusivi, inquinamento e crisi climatica restano la principale minaccia per mare e laghi italiani e per la biodiversità. Su 387 campioni prelevati nelle acque di mari e laghi della Penisola, il 32% (124 su 387) è oltre il limite di legge, così come lo è un’area ogni 78 chilometri di costa. Eppure, di tutto questo i bagnanti sanno poco o nulla: c’è scarsa informazione sulle zone dove vige il divieto di balneazione. Tra i punti più critici, foci dei fiumi, canali, corsi d’acqua che sfociano a mare o nei laghi. A oggi pesano sull’Italia quattro procedure di infrazione per la mancata conformità alla direttiva sulle Acque Reflue: l’ultima è ancora in fase di istruttoria, mentre le prime tre sono già sfociate in sentenza di condanna. La prima, in particolare, risale al 2004 ed è giunta fino alla sanzione pecuniaria. L’Italia ha già pagato oltre 142 milioni di euro. E poi c’è la crisi climatica con la temperatura delle acque superficiali che sale, le ondate di siccità, l’arrivo di specie aliene come il granchio blu e l’aumento degli eventi meteo estremi che colpiscono soprattutto i comuni costieri. Sono 712 quelli che si sono verificati dal 2010 a giugno 2023 in 240 aree costiere, provocando 186 vittime. Una situazione critica quella che emerge dal bilancio complessivo tracciato da Legambiente con Goletta Verde e Goletta dei Laghi 2023, le due campagne itineranti che da giugno ad inizio agosto hanno fatto tappa in 18 regioni e 40 laghi della Penisola.

Le acque oltre i limiti di legge – Indagata, come di consueto, la concentrazione nelle acque di parametri di tipo microbiologico, quali Enterococchi intestinali ed Escherichia coli. Sono stati considerati come ‘inquinati’ i campioni in cui almeno uno dei due parametri supera il valore limite previsto dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia, come ‘fortemente inquinati’ quelli in cui almeno uno dei parametri supera per più del doppio il valore normativo. Per quanto riguarda le acque dei mari, su 262 punti campionati da Goletta Verde lungo la costa italiana, il 36% è oltre i limiti di legge: il 30% è stato giudicato ‘fortemente inquinato’ e il 6% ‘inquinato’. In particolare, il 49% dei prelievi è avvenuto alle foci e il 51% a mare. Solo nel 15% dei punti visitati dai volontari, però, è stato visto il cartello informativo sulla qualità delle acque, obbligatorio per legge da molti anni ormai. Nel 73% delle foci analizzate non era presente nessun cartello che indicasse la criticità del punto ed il conseguente divieto di balneazione. Per quanto riguarda i laghi, invece, su 125 punti analizzati in 40 laghi, il 23% dei campioni è risultato oltre i limiti di legge (29 su 125). Anche in questo caso i prelievi sono stati fatti nel 48% dei casi presso le foci di canali e corsi d’acqua sfocianti nelle acque lacustri, per il 52% nel lago. Il 33% dei prelievi presso canali e corsi d’acqua è risultata oltre i limiti di legge contro il 14% dei prelievi effettuati nel lago.

La cattiva depurazione e gli scarichi abusivi – “La maladepurazione resta un’emergenza cronica del nostro Paese e, oltre a minacciare mare, laghi e biodiversità, costerà centinaia di milioni di euro nei prossimi anni, a causa del pagamento di multe che l’Europa non ci condonerà” ricorda Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, secondo cui è fondamentale che “il Governo Meloni lavori a un piano nazionale per la depurazione, nominando al più presto il nuovo commissario”. La priorità è il completamento dei lavori della rete impiantisca. Ma anche le risorse dato che, come ha sottolineato la Commissione Ue, i 600 milioni di euro previsti come fondi specifici dal Pnrr non sono sufficienti. Sino ad oggi l’Italia ha incontrato una serie di difficoltà nell’adempiere i propri obblighi ai sensi della Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane. Il tasso di conformità alla direttiva è pari al 56%, al di sotto della media Ue, che è del 76%. E gli scarichi di acque reflue urbane contribuiscono in modo significativo a una qualità dell’acqua non buona nel 45,8% dei corpi idrici superficiali (tra fiumi, laghi, transizione e costieri).

Dalla biodiversità all’eolico offshore – Nel frattempo, sono in stallo da anni decine di Parchi e di Aree marine protette come quella della Costa di Maratea, in Basilicata, o quelle della Costa del Monte Conero e della Costa del Piceno, nelle Marche. Ad oggi la copertura nazionale di superficie protetta, al netto delle sovrapposizioni tra aree naturali protette e siti natura 2000, è pari all’11,2% “ed è ancora insufficiente – spiega Legambiente – a proteggere adeguatamente la biodiversità che nel contesto euromediterraneo registra l’81% degli ecosistemi ancora a rischio”. L’obiettivo della Strategia dell’Ue sulla biodiversità propone il 30% di territorio e di mare protetto entro il 2030. Un altro focus è quello dell’eolico off-shore: 72 i progetti ancora in attesa di valutazione statale, presentati al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, per un totale di oltre 50 gigawatt e 150 richieste di connessioni a Terna. Principalmente riguardano le coste di Sicilia, Sardegna e Puglia, seguite da quelle di Lazio, Calabria, Emilia-Romagna e Molise. Alcuni di questi progetti sono stati presentati più di dieci anni fa, con tecnologie a volte diventate obsolete che richiederebbero delle varianti al progetto. Altri, invece, riguardano aree molto vicine fra loro, quindi non tutti i 50 GW potranno essere effettivamente approvati e realizzati.

Articolo Precedente

Il biodiesel non è a impatto zero sull’ambiente. Ma l’Italia è ostaggio di interessi particolari

next
Articolo Successivo

Giornata contro la crudeltà sugli animali: vale anche per l’impatto dell’uomo sugli abissi

next