di Andrea Boraschi e Carlo Tritto*

Pochi giorni addietro una notizia che avrebbe meritato attenzione è transitata sui media senza troppo clamore. L’Agcom ha avviato un’istruttoria nei confronti di Eni, Esso, Ip, Iplom, Q8, Tamoil e Saras. Queste aziende avrebbero fatto “cartello” – attraverso un sistema di comunicazioni avviato da Eni – per condizionare il prezzo dei biocarburanti per autotrazione, che per legge devono essere almeno il 10% di quanto si brucia nei motori endotermici. Il valore di questa componente è passato dai venti euro al metro cubo del 2019 ai circa 60 attuali, con un impatto sui prezzi alla pompa di circa due miliardi di euro. Tali aumenti mostrerebbero un dinamica sospetta, con incrementi di prezzo contestuali e spesso coincidenti. Se le accuse fossero provate, alcune grandi multinazionali avrebbero truffato i consumatori, durante una grave crisi dovuta al caro vita, mentre andavano registrando da mesi profitti record.

Tuttavia queste non è l’unica ombra che grava sui biofuel italiani.

Nelle raffinerie nazionali vengono prodotti 1,7 milioni di tonnellate di biocarburanti ogni anno, di cui circa 900 mila tonnellate da soli due feedstock: gli oli esausti da cucina (Uco) e i grassi animali – prodotto di scarto dell’industria zootecnica – di cui l’Italia è il principale utilizzatore in Europa.

Riguardo ai primi, è stata la Corte dei conti europea a segnalare un palese rischio di frode dovuto all’opacità della catena di approvvigionamento: si teme che l’import di oli esausti dai paesi asiatici sia in realtà costituito, per buona parte, da olio di palma vergine. Etichettare falsamente questa biomassa (la cui insostenibilità ambientale è largamente documentata) come Uco, sui mercati europei, può raddoppiarne il valore. I consorzi nazionali – a cui si applicano regole stringenti – riescono a raccogliere annualmente appena 40 mila tonnellate di oli esausti, meno del 10% di quanto si raffina in Italia; il resto è tutto import, principalmente dalla Cina.

Per quanto riguarda i grassi animali, l’industria che li produce dichiara che nel 2021 ha fornito meno di mezzo milione di tonnellate di grassi di tipo uno e due, quelli di minor qualità e legalmente consentiti per la produzione di biocarburanti. Tuttavia gli stati membri dell’Unione hanno riportato un consumo, per la sola produzione di biofuel, di circa un milione di tonnellate (440 mila solo in Italia). Il timore, anche qui, è di una frode in fase di “labelling”; i grassi animali di alta qualità (categoria tre) – necessari e difficilmente sostituibili in altri settori industriali – verrebbero etichettati come di bassa qualità per ottenere incentivi doppi.

Il timore di frodi non è circoscritto alla sola materia prima raffinata negli impianti europei. Nei primi mesi di quest’anno l’Europa è stata invasa da biofuel avanzati cinesi prodotti da rifiuti e scarti organici. I volumi di import sono quasi raddoppiati, determinando una seria crisi industriale per le raffinerie dell’Unione: un mese fa risultavano fermi undici impianti, altri dieci erano a un passo dall’interrompere l’attività. Gravi dubbi sull’effettiva origine di questi carburanti sono stati sollevati da fonti industriali e governative, come il ministero per l’Ambiente tedesco.

I biofuel non sono soltanto un carburante su cui gravano pesantissime ombre commerciali e ambientali; sono anche lo strumento attraverso cui il governo italiano, in Europa, sta tentando di rallentare la decarbonizzazione dei trasporti su strada, per proteggere Eni e quella parte dell’industria automotive ancorata alla sopravvivenza del motore endotermico.

Eni è il principale produttore europeo di Hvo, un diesel 100% prodotto da biomassa. Pianifica di produrne, al 2030, cinque milioni di tonnellate: una sfida che, in termini di approvvigionamento, e nel quadro di quanto abbiamo esposto, appare ardua e rischiosa. Con quel quantitativo si potrebbe far marciare il 20% delle auto italiane; ma con la stessa energia impiegata per produrlo si potrebbe alimentare una quota più che tripla di auto elettriche (e conseguire un proporzionale risparmio emissivo).

Il punto deve essere sfuggito al ministro Pichetto Fratin, che ha dichiarato che “i biocarburanti saranno in grado di sostituire la benzina e il diesel e salvare l’industria automobilistica italiana”. Una visione salvifica, la sua; una interpretazione quasi miracolosa dei biofuel. Ma si ricordi: spesso dietro ai miracoli – in assenza di santità – vi è l’inganno.

* Transport & Environment

Enigate

di Claudio Gatti 15€ Acquista
Articolo Precedente

Il colosso dei chip taiwanese TSMC sceglie la Germania. Progetto da 10 miliardi per un nuovo sito produttivo

next
Articolo Successivo

Tassa sugli extraprofitti, banche in recupero in borsa. Istituti italiani tra i più avari in Europa con i loro depositanti

next