Assange approda ad Un posto al sole, la nota serie televisiva in onda su Rai Tre da molti anni, che ha abituato il suo pubblico a virtuosi riferimenti a fatti o personaggi di rilevanza pubblica. Nella puntata dello scorso lunedì il giornalista Michele Saviani parla del caso nel suo seguito spazio radiofonico. Benissimo, complimenti agli autori che tuttavia non sfuggono ai luoghi comuni. Il volenteroso Saviani, infatti, nomina il fondatore di Wikileaks come esempio negativo.

È comprensibile che i margini della fiction siano esigui per spiegare che Julian Assange è accusato di 18 reati, in larghissima parte contestati – in base alle disposizioni dell’Espionage Act del 1917 che punisce le interferenze con le relazioni internazionali e commerciali degli Stati Uniti e le attività di spionaggio – e rischia una pena fino a 175 anni di reclusione. Questo ‘ci sta’, lo capiamo, capiamo meno che il suo nome spunti per rappresentare un comportamento censurabile, quello di chi divulga segreti nell’interesse della sicurezza nazionale.

“La divulgazione di segreti sensibili – dice il Saviani – può compromettere la sicurezza delle persone coinvolte e quella nazionale. Ci sono segreti che vanno mantenuti o è sempre giusto rendere pubblica la verità?”. Insomma: non sempre i segreti vanno detti, perché potrebbero essere dannosi, come suggerisce la saggezza popolare. Capiamo anche che il passaggio sia inserito nell’intreccio della fiction, utilizzato per far riferimento ai segreti di alcuni personaggi della serie, tuttavia il caso del giornalista australiano rinchiuso nelle carceri inglesi in attesa dell’estradizione per gli Stati Uniti è presentato come un campione negativo.

Dunque, per quanto vada davvero apprezzato il fatto che Assange approdi in un contesto popolare, e per quanto si voglia credere che l’intenzione degli autori fosse davvero quella di rendergli omaggio, va rilevato che in questo modo Assange finisce di essere vittima della sua stessa intemperanza. E non di un potere che si vuole salvaguardare.

Il fatto che Assange abbia rivelato informazioni di interesse pubblico, anche e soprattutto relative a crimini di guerra, non lo rende un hacker o una spia, e poi, come ha ricordato pochi giorni fa Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia, “il tema della minaccia alla sicurezza nazionale è molto scivoloso ed è usato da governi di ogni colore per mettere al bando giornalisti indipendenti, voci critiche e oppositori”. Dunque, Assange, di cui va scongiurata l’estradizione da parte delle autorità britanniche che lo costringono in uno stato di durissima detenzione, merita non solo il nostro sostegno ma anche la nostra gratitudine.

Perché rivelare i segreti di uno Stato criminale è un atto di civiltà.

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