di Carmelo Sant’Angelo

Una volta sradicavano le panchine per impedire che fungessero da ricovero per i senzatetto, oggi, essendo alla guida del Paese, tagliano le corde dell’unico paracadute sociale.

È sempre la stessa destra asociale che alimenta le “retoriche del disumano” – così le chiama Marco Revelli – esprimendo in maniera manifesta una regressione dell’etica sociale. È la forza di tutte le destre del mondo: dare agli ultimi un nemico, per farli sentire penultimi. Il nemico in Italia è stato costruito con una campagna mediatica martellante, sostenuta dalla propaganda (l’informazione è tutt’altro), ancella del potere.

Testate giornalistiche in vita grazie ai contributi pubblici e parlamentari lautamente foraggiati dal contribuente umiliano con insolenza coloro che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. Politici e giornalisti che discettano di povertà come se fossero al bar. Sciorinano una serie di luoghi comuni non supportati da alcun dato ufficiale, anche perché questo smentirebbe i primi. Imprenditori in ambasce che non riescono a trovare soggetti sui quali riversare la loro munificenza. Sono gli stessi che vorrebbero scaricare sulla collettività i costi dei dipendenti perché nelle loro aziende non vi sono impianti di condizionamento oppure, con paterna comprensione, propongono di iniziare a lavorare alle cinque del mattino.

Poi ci sono gli elettori della destra, capitanati dai coccolati e viziati evasori fiscali, coloro che sanno solo ricevere ma non intendono dare. In seconda fila ci sono coloro che “cristianamente” odiano il prossimo, nutrendo astio per il benessere conseguito dall’affine. Non riescono ad accettare che il conoscente conduca un tenore di vita migliore del loro e vedono come un’usurpazione il conseguimento anche del più piccolo degli agi. Sono quelli che rimangono indifferenti al fatto che un parlamentare possa percepire il vitalizio e la buonuscita pur essendo ristretto nelle patrie galere per concorso esterno in associazione mafiosa. Sono gli stessi che non fanno un plissé di fronte alle liquidazioni milionarie di manager che hanno portato aziende pubbliche al collasso, ma non sono disposti ad accettare che il figlio del vicino di casa sia stato ammesso all’asilo comunale a discapito del proprio.

È la guerra sociale prefigurata da Friederich Engels nel 1845, che può dirsi conclusa nel 2011 quando Warren Buffet (uno degli uomini più ricchi al mondo) confessava al Washington Post: “Di fatto negli ultimi vent’anni è stata combattuta una guerra di classe e la mia classe l’ha vinta. (…) Se c’è una guerra di classe l’hanno vinta i ricchi”.

Gli odierni sconfitti sono coloro che, in stato di bisogno, hanno perso il sussidio del reddito di cittadinanza. Sono le donne italiane, ultime nelle classifiche europee dell’occupazione, che dovranno sottostare all’autorità patrimoniale del marito, così come piace ai cultori della “famiglia tradizionale” (ma solo a danno degli altri). Sono i giovani, la cui emancipazione comporterà il pagamento del dazio dell’emigrazione. Sono i lavoratori che verranno ancor più sfruttati con salari da fame e da condizioni di schiavitù.

E tutto questo, non è da madri, non è da cristiani e non è da donna che solidarizza con le altre donne. Lasciamo che siano i sociologi a separare il grano dal loglio e solo allora scopriremo quale sia stato il reale impatto del reddito di cittadinanza sulla sicurezza pubblica, sulla salute fisica e mentale dei cittadini, sull’inclusione sociale, sull’istruzione, sulla tenuta dei consumi, sulla ripartenza dopo la pandemia, sul reclutamento nelle file della criminalità, sulla recidiva nei reati contro il patrimonio…

Non possiamo chiedere alla destra di operare tutti questi distinguo, i loro militanti sono addestrati a fare di tutta l’erba un fascio.

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