Va accolta come una ottima notizia il voto unanime che la Camera ha dato alla legge sul cosiddetto “oblio oncologico”. In un Paese che, a differenza di ciò che avviene normalmente nel mondo occidentale, ci si divide tra destra e sinistra riguardo ai diritti civili, ai diritti della persona e alla norme antidiscriminatorie che altrove son considerati patrimonio comune di civiltà, un risultato di questo tipo non poteva essere dato per scontato. Ed ha infatti il sapore amaro della discriminazione e dell’accanimento sulla vittima lo stigma istituzionale al quale andava finora incontro la persona che – guarita da una malattia oncologica – era condannata a trascinarsi appresso per tutta la vita una valutazione negativa in ambito finanziario e assicurativo ma anche nella ricerca di un lavoro o nell’avvio di un processo di adozione venendo considerata perennemente un soggetto a rischio e quindi “inaffidabile” dai punti di vista esemplificativamente elencati.

Grazie alla legge appena approvata in prima lettura, gli Istituti finanziari, assicurativi, o comunque chi sarà chiamato a svolgere indagini sulla affidabilità o sulla solvibilità della persona, non potranno chiedere informazioni o attingere a dati relativi a patologie pregresse e sul rispetto della nuova normativa vigilerà il Garante della Privacy.

E’ vero che – nonostante la comunità scientifica consideri guarita la persona affetta da patologie oncologiche trascorsi 5 anni dalla conclusione del trattamento terapeutico – questo limite di maggior favore si applicherà solamente alle persone per le quali la patologia sia insorta prima del compimento dei 21 anni di età, mentre alla generalità dei casi si applicherà il più severo limite dei dieci anni ma questo non fa venir meno l’importante avanzamento che la norma rappresenta per la vita reale e quotidiana dei soggetti interessati.

L’attuazione della norma è rimessa a un Decreto del Ministero delle Politiche Sociali e del Lavoro di concerto con quello della Salute e bisognerà quindi verificare nella realtà l’efficacia delle politiche attive volte ad assicurare parità di trattamento e assenza di discriminazione delle persone interessate così come sarà interessante monitorare i tentativi di elusione da parte degli organismi finanziari e assicurativi in genere attenti solo al profitto e poco inclini a metterlo a repentaglio per motivi legati ai diritti umani: non c’è bisogno di ricordare i frequentissimi casi di investimenti cinici e spericolati del tutto indifferenti della compromissione con Paesi e Aziende che quei diritti li violano quotidianamente per avere contezza di quanto poco valga la vita delle persone in confronto alla massimizzazione del profitto. La frequenza dei contenziosi che si apriranno sarà la cartina di tornasole dei tentativi di eludere la nuova normativa.

E’ abbastanza facile immaginare che come avviene per altre forme di discriminazione l’eventuale diniego di un lavoro, di un finanziamento, di un’adozione saranno formalmente giustificati facendo ricorso ad altre motivazioni e che sarà quella la strada anche giudiziale che verrà seguita da chi è insofferente verso la nuova norma e in generale verso il diritto antidiscriminatorio. Ma dovranno essere proprio i principi del moderno diritto antidiscriminatorio a venire in soccorso in questi casi: secondo quei principi, infatti, spetta a chi viene accusato di comportamenti discriminatori dimostrarne l’assenza e non è invece la persona discriminata a dover dimostrare la causa discriminatoria. Nel caso inverso ci si troverebbe infatti di fronte a una vera e propria probatio diabolica.

Un’ultima annotazione: sarebbe davvero auspicabile, ma al momento altrettanto utopico, se la consonanza di intenti e di percorso che si è realizzata in questo caso facesse da apripista a una nuova stagione politica in cui i diritti fondamentali non fossero impugnati come una clava da una parte politica contro l’altra in uno scenario in cui la negazione dei diritti stessi diviene un modo per meglio sintonizzarsi con la parte più reazionaria e bigotta dell’elettorato di riferimento. Sarebbe auspicabile che su quei temi non si consumasse alcuno scontro politico se non quello volto a trovare le migliori soluzioni per garantire i diritti stessi: rappresenterebbe un progresso non soltanto nell’ambito dei diritti da tutelare ma del clima politico generale e sarebbe il termometro di un miglioramento complessivo della nostra classe dirigente. Ma quando si parla di altre discriminazioni, da quella per origine etnica a quella per credo religioso fino a quelle per orientamento sessuale e identità di genere, la classe di governo attualmente al potere sembra voler percorrere decisamente altre strade.

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