L’attacco alle banche e ad alcuni siti di trasporto, ma nel mirino degli hacker filorussi Noname057(16) sono finiti anche i siti di alcuni media. I disagi e i disservizi registrati sono stati limitati. “Si tratta di azioni dimostrative, che mirano più che altro ad ottenere visibilità, non danneggiano l’infrastruttura. E non è solo l’Italia bersagliata, ma periodicamente anche altri Paesi dell’arco occidentale che sostengono l’Ucraina”, spiegano all’Ansa dalla Polizia postale che sta intervenendo in supporto. Mobilitata anche l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, che ha avvisato i ‘bersaglì dell’offensiva in atto invitandoli ad innalzare le difese.

L’arma usata dalla crew filo-Mosca è sempre la stessa, il Ddos (Distributed denial of service): l’invio, cioè, di un’enorme quantità di richieste al sito web obiettivo, che non è in grado di gestirle e quindi di funzionare correttamente. I Noname scelgono il bersaglio e poi invitano altri attivisti chat ad imitarli, moltiplicando la portata dell’attacco. Il tutto viene rivendicato sul canale Telegram, come al solito in modo ironico, con l’immagine di un orso (che simboleggia la Russia) e del sito colpito.

La campagna attuale – ce ne sono state altre negli ultimi mesi – è stata annunciata lunedì scorso con un post contro “l’adorazione dell’idolo Ukronazi nei russofobici Paesi dell’Occidente”, citando il recente incontro alla Casa Bianca tra il presidente Usa, Joe Biden e la premier Giorgia Meloni, con la conferma del sostegno italiano a Kiev. Mercoledì mattina la terza ondata, intercettata – come nei casi precedenti – dagli esperti dell’Agenzia cyber, che hanno allertato gli obiettivi e fornito loro istruzioni specifiche per mitigare gli effetti. Si sono mossi quindi il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche della Polizia postale ed i Centri operativi per la sicurezza cibernetica sul territorio in supporto ai tecnici delle società interessate per il ripristino dei sistemi informatici essenziali e per acquisire dati utili alla ricostruzione degli eventi. Oltre ad alcuni siti giornalistici, sono stati presi di mira il Comune di Palermo, il portale trasparenza della Regione Sicilia, la Sogea di Palermo, la Banca Credem e Banco popolare di Bari.
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