di Susanna Stacchini

Riforma della giustizia, pseudonimo di sfascia giustizia. Ogni governo che passa ci mette mano, riuscendo sempre a peggiorare le cose, mai una ricaduta positiva. Insomma, una gara a chi fa peggio, fatta eccezione per la breve parentesi dei governi Conte. Ora, considerato che basta frequentare un po’ le aule di tribunali, per rendersi conto di che cosa non funziona, viene da ipotizzare la malafede più che l’incompetenza. Chi ha a che fare con la giustizia, soprattutto se in qualità di parte offesa, non può che sentirsi deriso e osteggiato, proprio dallo Stato, che nel processo penale è di fatto il migliore alleato dell’imputato che sa di essere colpevole. Continuando imperterriti a legiferare sulla giustizia, avendo come musa ispiratrice la figura dell’imputato ricco e colpevole, ci siamo ritrovati in un gran “pantano” in cui lui è l’unico a trarne beneficio. Agli altri non resta che soccombere.

L’imputato può usufruire di una serie infinita di leggi e cavilli legali che, se ben sfruttati, gli consentono di dilazionare talmente i tempi da ottenere il classico nulla di fatto. Si va dalle notifiche non ritirate ai fittizi legittimi impedimenti, passando dagli avvocati di fiducia cambiati a ridosso di udienze, ovviamente fissate almeno con un anno di anticipo, fino ai giudici recusati con medesime tempistiche. Un sistema ben collaudato, funzionale a ottenere ripetuti rinvii di udienze.

Ma non finisce qui: la legge mette a disposizione ancora altri stratagemmi, anch’essi fondamentali ad allungare in maniera vergognosa i tempi dei processi. All’imputato è permesso di appellare la sentenza di primo grado con ricorsi spesso pretestuosi, come del resto ricorrere in Cassazione nonostante la totale infondatezza della memoria difensiva. Tutto, con la garanzia che la pena inflitta in primo grado, se confermata, potrà alleggerirsi.

In questo scenario, a fare sinergia ovviamente in negativo è la situazione in cui versano cancellerie, tribunali e procure, a corto di personale e mezzi informatici, noti a chiunque abbia avuto la sfortuna di frequentare certi ambienti: i faldoni ammassati nei vari archivi e uffici, trasportati a mano su “apposito” carrello dall’uno all’altro e di quelli che, ancor più sciaguratamente, girano per le cancellerie e procure d’Italia a mezzo treno.

Non credo serva una mente particolarmente complottista per immaginare che un contesto lavorativo del genere possa essere fucina di errori, destinati anch’essi a incidere pesantemente sul numero di udienze rinviate. Scelte politiche consapevolmente scellerate perpetrate per decenni hanno ridotto la giustizia allo sfascio e palesemente sbilanciata in favore dei delinquenti. Se lo scopo era quello di evitare eventuali possibili condanne a personaggi illustri attraverso la scure della prescrizione e/o dell’improcedibilità, direi che il risultato è stato ampiamente raggiunto.

Nella dialettica politica la parte offesa viene completamente ignorata. Non si parla di problemi strutturali e quindi nemmeno della loro risoluzione. Sia mai che qualcosa potesse funzionare. Mentre ci si concentra sul depenalizzare reati, sempre i soliti, ostacolare il più possibile l’azione penale e quindi il corso delle indagini e trasformare i processi in un vero e proprio guazzabuglio. Spacciano come giunto regolarmente a termine un processo prescritto o dichiarato improcedibile. Definiscono garantismo l’impunità e giustizialismo la certezza della pena.

Tutto ciò è devastante per le persone vittime di reati. Sia per chi denuncia sia per chi ci rinuncia, capendo che non ne vale la pena. E’ deleterio per parti civili e parti offese, destinate a rimanere imbrigliate per anni in processi fiume con uno Stato che non è in grado di fornire loro risposte autorevoli. Insomma, con una superficialità disarmante politica e istituzioni hanno tradito il patto di fiducia con la gente, incuranti del fatto che ciò è l’elemento fondante della democrazia e della sua tenuta.

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