È di sabato la notizia che il ministro per le autonomie, Roberto Calderoli, intervenuto al Consiglio regionale della Lombardia, ha affermato che: “quelli che criticano la riforma dimostrano di non aver letto né la Carta né la nostra proposta. L’autonomia differenziata è prevista dalla nostra Carta costituzionale”, soggiungendo che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, “non avrebbe mai autorizzato la presentazione di un disegno di legge alle Camere che fosse incostituzionale. La riforma dell’autonomia non è incostituzionale, è presente nella Carta”.

Probabilmente, il ministro Calderoli non ha pensato che l’art. 116, comma 3, della Costituzione, che prevede l’estensione delle Autonomie differenziate a tutte le Regioni (mentre l’art. 116 del testo originario prevedeva “forme e condizioni particolari di autonomia” soltanto per la Sicilia, la Sardegna, il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta) è frutto di una disposizione della legge Costituzionale n. 3 del 2001, che, solo a prima vista, non può non essere ritenuta in palese contrasto con i “principi fondamentali”, sanciti nella prima parte della Costituzione (e, in particolare, negli gli articoli 1, 2, 3, 4, e 5). Inotre il fatto che il Presidente della Repubblica abbia autorizzato la presentazione in Parlamento di questo disegno di legge, non significa affatto che egli lo abbia ritenuto costituzionale, poiché il controllo del Presidente della Repubblica è di pura legittimità formale, che non può scendere nel merito di una vigente disposizione della Costituzione e, soprattutto, non può sostituirsi alla Corte costituzionale decidendo una questione di legittimità costituzionale.

Si tenga presente che di recente, con vero senso di giustizia, si sono dimessi dal Comitato per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale (determinazione necessaria e propedeutica all’attuazione delle Autonomie differenziate): Giuliano Amato, Franco Gallo, Alessandro Pajno e Franco Bassanini, rilevando che il disegno di legge sulle Autonomie differenziate, nell’addossare allo Stato i costi dei livelli essenziali delle prestazioni, prescinde dalle situazioni di divario economico delle varie Regioni, e, per un verso peggiora la situazione economico sociale dei cittadini delle Regioni più povere del sud, e per altro verso avvantaggia i cittadini delle Regioni più ricche del nord.

Essi hanno inoltre rilevato che detto disegno di legge viola lo stesso articolo 119, comma terzo, del modificato Titolo V (in questa parte conforme ai “principi fondamentali”), secondo il quale: “la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante”. Tale ragionamento, come è ovvio, finisce per porre in evidenza che il medesimo comma terzo dell’art. 116 della Costituzione è da ritenere in palese contrasto, non solo con i “principi fondamentali”, sanciti nella parte prima della Costituzione, ma anche con una norma (l’art. 119, comma 3, Cost.) contenuta nello stesso Titolo V, nel quale si trova scritto il pluricitato art. 116, comma 3.

E questo significa che, trattandosi di una norma in pieno contrasto con l’intera Costituzione, essa deve necessariamente essere espunta, o con un ricorso alla Corte costituzionale, o con un referendum, o con un’altra legge costituzionale.

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