di Valerio Pocar

Con la fame arretrata propria di coloro che hanno visto passare sotto il naso ricche tavole imbandite senza potervisi sedere, questa destra di governo dedica il suo tempo principalmente a occupare posti e cariche che quell’appetito possano soddisfare, anche se per i due partiti più piccini della maggioranza, che al desco hanno seduto per anni, tale fame rappresenta una forma di bulimia la quale, del resto, colpisce anche molti membri del partito maggioritario, transfughi da quelli più piccini. Naturalmente l’invito al desco non è selettivo e vi si assidono anche persone che parlano a voce troppo alta, dicono sconcezze, non sanno usare le posate e mangiano con le mani. Lo sappiamo benissimo, abbiamo scritto frasi da radical chic, ma almeno noi usiamo il tovagliolo. Intenti a ruminare, sembrano aver dimenticato le grandi questioni “nazionali” che occorre affrontare, sia nel nostro piccolo paesano sia del mondo.

Questa estate sembra aver allontanato il rischio che si temeva in primavera per quanto riguarda la siccità (poi nel seguito della stagione vedremo), con piogge abbondanti e allagamenti e vere e proprie alluvioni di larga scala, come settimane or sono nella Romagna. Per affrontare quest’ultima emergenza questo governo ha pensato bene di esautorare le istituzioni del territorio e nominare commissario il generale Vax, persona peraltro degnissima e meritevole di riconoscenza, quello stesso però che presso questa maggioranza, in buona parte no vax, non godeva di grande stima ed era bersaglio di critiche asperrime, al pari degli allora responsabili di governo, che questa stessa maggioranza ora intende mettere sotto inchiesta. Si tratta di una nomina a commissario di chiara matrice ritorsiva e propagandistica, come il generale Vax non merita. Senza contare che la buona prova nell’organizzazione di un servizio nulla garantisce per quanto concerne l’erogazione di fondi e di risarcimenti e d’investimenti, sempreché siano sufficienti. Confidiamo, con speranza sincera, nel buon esito del suo operato.

L’esempio romagnolo è significativo. Il pubblico dibattito si è spostato dal problema vero, quello delle ragioni della catastrofe ecosistemica, a quello in merito a chi debba occuparsi di tappare le falle del disastro e, soprattutto, a quello della gestione delle risorse. Cosa importantissima, s’intende, ma la questione ambientale è passata in seconda linea.

Più in generale, il dissesto ambientale, che ci riguarda da vicino, ma è solo un tassello del disastro planetario, è un problema che non rientra come prioritario nell’agenda governativa. Ci pare di ricordare che ci sia un componente del governo incaricato di occuparsi della siccità, ma, siccome piove, se ne sta zitto e buono, tanto che non ricordiamo neppure il suo nome, quasi che la siccità non sia l’altra faccia delle alluvioni. (…)

Il problema più pressante, della politica nazionale come di quella planetaria, è il disinteresse per la crisi climatica che caratterizza l’azione di tutti i governi del mondo, stretti tra la quotidianità dell’economia e della influenza delle industrie energivore e la visione prospettica della salvezza della vita sul pianeta. Disinteresse che nei governi di destra, il nostro in prima fila, giunge addirittura alla negazione. Senza rammentare le sarcastiche (e tragiche) esternazioni di un Trump, nascono dal governo di destra di questo Paese espressioni irridenti come “ambientalismo ideologico” o l’affermazione che l’alternanza di siccità e di alluvioni sia un “fenomeno ciclico” naturale, trascurando di precisare che i cicli di secoli si sono tradotti in cicli di settimane per l’azione talora inconsapevole e talora scellerata degli esseri umani presso i quali la scienza va predicando, inascoltata, ormai da più di mezzo secolo.

Il rischio che viene occultato dal negazionismo climatico espresso dalle destre e la disattenzione che di fatto tocca spesso anche la politica dei progressisti, è il più grave forse da sempre nella storia umana, vuoi perché potrebbe comportare la sparizione stessa della vita sul pianeta vuoi anche perché nega il valore della scienza, idolatrata quando frutta comode e lucrose tecnologie e trattata alla stregua di una Cassandra quando mette in guardia dal disastro incombente.

Certamente una seria politica ambientale richiede mutamenti di mentalità e di atteggiamenti e certamente anche sacrifici, che le destre che in questo mondo per così com’è sguazzano felici non hanno ragioni immediate per proporre e le sinistre non hanno il coraggio di proporre per non intaccare certi piccoli privilegi. Del resto, non fa meraviglia che le destre nazionaliste e populiste vedano le politiche ambientaliste come il fumo negli occhi. Il nazionalismo rifugge da deleghe o cessioni di sovranità e indubbiamente la soluzione di una questione globale impone uno sforzo comune che vada al di là della tutela di ristretti ovvero gretti interessi di singoli Paesi. A sua volta, il populismo, fondato su una politica di lusinga di interessi prevalentemente corporativi, non riesce a pensare a una politica che con tali interessi si ponga in contrasto. La/il presidente del Consiglio è stata chiarissima su questo punto, dichiarando che la lotta al cambiamento climatico deve essere condotta a “un prezzo che aziende e Stati possano permettersi“. Un ingenuo indigeno dei mari del sud potrebbe chiedersi che se ne faranno gli umani defunti delle tecnologie e a che gioveranno i voti e il consenso degli umani defunti ai potenti anch’essi defunti. (…)

Vi ricordate? I giovanilistici ribelli del ’68 francese chiamavano con irrisione gli anziani pph (passe pas l’hiver). Noi, giunti alla vecchiaia, auguriamo (di cuore, perché abbiamo figli e nipoti) ai ragazzi di oggi di superare indenni l’inverno del pianeta.

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