Il governo è al lavoro per approvare, prima della pausa estiva, un decreto-legge che disinneschi i rischi di depotenziamento del contrasto alle mafie insiti in una recente sentenza della Cassazione. Lo scorso settembre, infatti, la Prima sezione penale della Suprema Corte ha dichiarato illegittime le intercettazioni disposte secondo il regime più “largo” previsto per i “delitti di criminalità organizzata” – indizi di reato “sufficienti” anziché “gravi” e durata di quaranta giorni anziché 15 – nei confronti di un imputato che non era accusato direttamente di associazione mafiosa (articolo 416-bis del codice penale), ma “solo” di un reato ad aggravante mafiosa, cioè commesso al fine di agevolare l’organizzazione (articolo 416-bis.1). La decisione contraddice un precedente orientamento della Corte sullo stesso tema, tanto che la questione potrebbe essere a breve rimessa alle Sezioni unite (uno speciale collegio, composto da magistrati di tutte le sezioni, che risolve i contrasti interpretativi sulle norme). In quel caso, se l’ultima sentenza dovesse essere confermata, rischierebbero di saltare i processi in corso in cui le intercettazioni sono state disposte secondo il criterio valido in precedenza. In questo senso l’allarme è arrivato dalle Direzioni distrettuali antimafia e anche dalla Procura nazionale, guidata da Giovanni Melillo.

Ma non solo: secondo il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, magistrato, mettere in discussione il concetto di criminalità organizzata si potrebbe ripercuotere su tutto il resto del sistema del “doppio binario” (la disciplina separata tra i reati comuni e quelli di mafia), comprese “le aggravanti speciali, i benefici penitenziari, le pene e così via”. Per questo, come anticipato dal Corriere della sera, l’esecutivo ha intenzione di intervenire con un provvedimento ad hoc: gli uffici legislativi di palazzo Chigi e dei ministeri interessati stanno mettendo a punto il testo, che a questo punto potrebbe essere approvato in uno dei prossimi Consigli dei ministri, prima dello stop di agosto. L’obiettivo, ha spiegato Mantovano, è dare “una definizione di criminalità organizzata attraverso una legge, come fu fatto quarant’anni fa per definire l’associazione mafiosa”. E parlando col Corriere definisce questo tema come un esempio dei “problemi determinati dalla giurisprudenza dell’oggi” su cui concentrarsi al posto di quelli evocati da Nordio, che appartengono ormai a “una giurisprudenza consolidata” su cui non è necessario “aprire altri discorsi”. Proprio Mantovano, infatti, si è occupato di sconfessare la “fuga in avanti” del Guardasigilli su una “rimodulazione” del concorso esterno in associazione mafiosa, su cui le Sezioni unite si sono pronunciate ormai nel lontano 1994.

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