Soldi, tanti soldi, in cambio di buona stampa. Li prendeva Gianluca Savoini da Mohammed Khabbachi, emissario del re del Marocco per le attività di lobby su scala europea. Lo dice il tribunale di Roma in una recente sentenza che conferma quanto svelato da Il Fatto Quotidiano, che quattro anni fa aveva raccontato di come Khabbachi avesse pagato decine di migliaia di euro a Savoini quando l’ex portavoce di Matteo Salvini era direttore editoriale dell’agenzia di stampa Agielle. In cambio di quel denaro Khabbachi garantiva al governo di Rabat la diffusione nel nostro Paese di articoli che mettessero in buona luce il regno di Mohammed VI, a volte superando la soglia che la realtà dei fatti avrebbe consentito.

Uno degli incontri tra Khabbachi e Savoini avviene nell’aprile del 2016 in una sala dell’hotel Le Méridien Etoile di Parigi, dove un plico avvolto in fogli di giornale passa da una mano all’altra: è pieno zeppo di banconote, 150mila euro in contanti. Savoini conta i soldi poco dopo nel bagno di un bistrot lì vicino, in boulevard Pereire, con tanto di inaspettato “incidente”: un altro cliente irrompe nella toilette, molte di quelle banconote finiscono dritte nella turca e l’allora braccio destro di Salvini deve ripescarle dallo scarico e pulirle una a una. L’episodio, raccontato al Fatto da due fonti, è stato ritenuto veritiero dal tribunale, che ha dato ragione al nostro quotidiano, difeso dagli avvocati Caterina Malavenda e Valentino Sirianni, in una causa per diffamazione intentata da Khabbachi, che ora dovrà pagare 16.600 euro di spese legali oltre a Iva, oneri di legge e spese generali.

“Il tribunale ritiene che la circostanza riportata negli articoli abbia trovato piena conferma”, sentenzia il giudice Corrado Bile. Dall’esame di un testimone chiamato a deporre dalla difesa del Fatto è infatti emerso che l’incontro tra Savoini e Khabbachi “si è effettivamente tenuto” e “la busta venne effettivamente consegnata al Savoini, il quale subito dopo si allontanò per recarsi alla toilette”. Confermato anche lo scopo di quei pagamenti: “L’agenzia, dietro compenso, aveva diffuso notizie calibrate in base a ciò che il cliente desiderava venisse detto, anche a discapito della verità oggettiva”.

A spianare la strada all’accordo per veicolare in Italia notizie favorevoli al governo marocchino era stata una missione leghista a Rabat dell’ottobre 2015, a cui aveva partecipato anche Salvini. A fare gli onori di casa proprio monsieur Khabbachi, ex direttore generale dell’agenzia di stampa nazionale Map e vicino ai servizi segreti marocchini, tanto da essere l’ex cognato di Yassine Mansouri, il numero uno della Direzione generale degli Studi e documentazione (gli 007 di Rabat) considerato a capo delle “operazioni di influenza” sulle istituzioni europee dalla procura di Bruxelles che ha indagato sul Qatargate, lo scandalo che alla fine dell’anno scorso ha travolto l’Europarlamento.

Salvini torna entusiasta da quel viaggio in Marocco, come folgorato: “È una terra stupenda”, twitta mentre al Corriere dice: “Qui in Marocco si deve investire”. Nelle settimane successive i rapporti con Khabbachi vanno avanti. Salvini e Savoini lo incontrano di nuovo a Milano nel novembre del 2015, quando i tre pranzano insieme al ristorante Gli Orti di Leonardo, a due passi dal Cenacolo. Poi l’appuntamento clou di Parigi all’hotel Le Méridien Etoile in cui Savoni incassa il pagamento. Ce ne saranno altri, sempre per garantire un’informazione gradita al regno marocchino attraverso Agielle. Una campagna di informazione-disinformazione simile a quella veicolata in quel periodo anche da Mosca attraverso la rete sviluppata attorno all’associazione Lombardia-Russia di Savoini e ai siti di propaganda putiniana.

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