Italia, un Paese di vecchi, ma non per vecchi. A ricordarlo ancora una volta non c’è solo il caso della Residenza sanitaria assistenziale del Comune di Milano che è andata a fuoco giovedì notte, causando la morte di 6 persone e l’intossicazione di altre 81 secondo, con le responsabilità ancora tutte da chiarire. Secondo un dossier sul Servizio sanitario nazionale dell’Ufficio valutazione impatto del Senato pubblicato nei giorni scorsi, nel 2019 l’Italia vantava un ottimo risultato in termini di speranza di vita dei suoi cittadini: 83 anni contro gli 83,2 della Spagna e gli 82,5 della Francia, gli 81,7 della Germania e i 78,5 degli Stati Uniti.

Tuttavia all’avanzare dell’età non sembra corrispondere una risposta adeguata da parte del Snn. Secondo lo stesso studio, infatti, l’Italia risulta terza tra i Paesi europei con 3,19 posti letto ospedalieri ogni mille abitanti (la Germania ne ha più del doppio e la Francia poco meno del doppio). Invece i posti letto per lungodegenti di età superiore ai 65 anni sono ai minimi termini, come molte famiglie sanno già: già prima del Covid, nel 2019, l’Italia aveva 18,8 posti letto per mille abitanti ultrasessantacinquenni.

“È un dato particolarmente rilevante, che disallinea l’Ssn da tutti gli altri sistemi sanitari oggetto di comparazione – sottolinea lo studio – si noti lo stacco con gli Stati Uniti (29,9 posti), che pure occupano il penultimo posto di questa classifica”. Gli altri Paesi, notano ancora i tecnici del Senato, destinano alle cure di lungo periodo “risorse significativamente più ingenti”, fino al picco svedese di 68,1 posti letto per 1000 abitanti della fascia d’età considerata, al quale seguono Germania (54,2) e Canada (51,3).

Nel 2021 la spesa pubblica italiana per la sanità era pari al 7,1% del Pil, contro l’11% della Germania, il 10,3% della Francia, il 9,9% della Gran Bretagna, il 9,8% della Svezia e il 7,8% della Spagna. In pratica, sembra di capire che le già scarse risorse disponibili non siano dirette agli anziani che pure costituiscono la maggior parte della popolazione. Come sanno del resto le famiglie che si vedono dimettere gli anziani ricoverati in ospedale alla velocità della luce, specialmente nei mesi estivi nei quali il personale scarseggia più che nel resto dell’anno. Oppure sono costrette vederli allettati nei corridoi dei pronto soccorso anche in Regioni ricche come la Lombardia o ad altissima percentuale di anziani come la Liguria.

I dati danno inevitabilmente argomenti alle famiglie e alle associazioni riunite nel Coordinamento nazionale per il diritto alla sanità per le persone anziane malate e non autosufficienti, che da mesi si batte per una modifica della riforma della non autosufficienza nei termini formulati dalla Legge Delega n. 33 approvata il 23 marzo scorso. Sul testo, tra gli altri si è duramente espresso Giovanni Maria Flick, giurista e presidente emerito della Corte Costituzionale. “Il rischio che i malati inguaribili vengano considerati non più malati, quindi nell’ambito dell’articolo 32 della Costituzione, che assicura la tutela della salute come diritto fondamentale, ma vengano considerati come un problema sociale da affidare all’assistenza sociale – ha detto nel suo intervento in convengo sulla riforma che si è tenuto a Roma il 17 maggio scorso – La questione è ancora più grave in un momento, come l’attuale, in cui i livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria sono garantiti per tutti, per quanto molto meglio attuabili, mentre l’ambito dei Lep (i Livelli delle prestazioni che concernono tutti i diritti sociali) è tempestoso, non definito e gravido di problemi. Uscire dal terreno sicuro del sanitario e del socio-sanitario, come prospetta la legge 33, equivale a una sottrazione di tutele per i malati cronici non autosufficienti, che invece vanno mantenuti nella dimensione di tutela sanitaria per tutte le loro esigenze”.

Ma il sospetto delle associazioni è che sarebbe una manna dal cielo per un Paese che in fondo alle classifiche internazionali per il numero di posti letto per gli anziani lungodegenti. E dove chi non può pagarsi le cure, deve trovare la forza e il denaro di battagliare in tribunale per avere ciò che gli spetta, come dimostra da ultimo una sentenza del Tribunale di Arezzo pubblicata da Italia Oggi sul diritto alle cure gratuite per le persone non autosufficienti.

Senza contare che sui pochi posti disponibili imperversano scandali e polemiche. Come ha sottolineato tra gli altri il Cub all’indomani della tragedia milanese, “al netto di ogni speculazione su una tragedia immane, oggi non possiamo non ricordare le responsabilità istituzionali nella costruzione e gestione del sistema socio assistenziale della Lombardia, fino al 2003 pubblico all’80% e oggi totalmente consegnato alla logica del profitto. Un ambito totalmente fuori dal controllo degli organismi di vigilanza, a partire da ATS che non “vede” le infinite e gravi criticità dentro le RSA della Lombardia, nemmeno quando erano emerse con forza durante la pandemia”.

Eppure, nota il sindacato di base autonomo, “i nostri diversi esposti depositati alla Procura di Milano, così come le tante segnalazioni all’Atas, all’Assessorato regionale e all’Ispettorato del lavoro sono rimasti lettera morta, anche quando mettevano abbastanza chiaramente in correlazione la gestione delle Rsa con le morti di pazienti ricoverati”. E fuori dalla Lombardia il panorama non è migliore.

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