“Stiamo vedendo , diciamo, opportunità per le vendite internazionali… Naturalmente anche per le tensioni in Europa orientale. Sono pienamente convinto che otterremo dei benefici”. È il 25 gennaio 2022, un mese prima dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Greg Hayes, presidente e amministratore delegato di Raytheon Technologies, multinazionale fra le più grandi al mondo nel settore difesa e aerospazio, risponde così alla domanda di un analista sulle prospettive di affari nel settore armamenti, durante la call di presentazione dei risultati aziendali del quarto trimestre 2021. Parlando dei vari scenari di tensione globale, dal Medio Oriente all’Indopacifico, Hayes precisa che in caso di “ostilità” il “beneficio non sarebbe immediato”, perché inizialmente si assisterebbe a una “riallocazione degli arsenali già disponibili”. Ma ci sarebbe comunque da aspettarsi “una ripresa della spesa internazionale per la Difesa nel prosieguo del 2022 e oltre”, in particolare nel 2023.

Probabilmente il top manager pensava che queste considerazioni sarebbero rimaste confinate alla platea di investitori a cui si rivolgeva, invece sono state rese pubbliche dal centro di ricerca statunitense Quincy Institute for Reponsible Statecraft. Sono una sintesi perfetta del business della guerra. Per fruttare davvero, serve che sia lunga. Infatti la previsione di Greg Hayes si avvera: nel 2022 la spesa militare mondiale ha toccato la cifra record di 2.240 miliardi di dollari, con una crescita del 3,7% in termini reali rispetto all’anno precedente, secondo lo Stockholm International Peace Reserach Institute (Sipri): in un solo anno i budget per la Difesa sono aumentati di ben 127 miliardi. Un boom trainato proprio dalla crisi ucraina.

La “Operazione speciale” russa in Ucraina, fin dal suo inizio nel febbraio 2022, ha registrato infatti un elevato “attrito di materiali”, oltre che di esseri umani. Ogni giorno vengono distrutti sistemi d’arma che poi andranno rimpiazzati, se si vuole continuare a combattere. L’Occidente e in primis gli americani, fin dal 2008, forniscono ai militari ucraini equipaggiamento e addestramento, con l’obiettivo di portarli a uno standard di livello Nato. Il conflitto costituisce perciò un grande affare per le industrie degli armamenti europee e d’oltreoceano. Le forze armate dei Paesi europei maggiormente coinvolti nelle forniture, infatti, avevano e hanno ben poco da dare. Questa situazione è stata sfruttata dai Paesi appartenenti all’Alleanza Atlantica, ma che in passato erano membri del Patto di Varsavia e quindi ancora dotati di sistemi d’arma di provenienza sovietica. Questi sistemi sono stati ceduti agli ucraini in cambio di armamenti più moderni di fabbricazione occidentale. La Polonia ha inviato in Ucraina i suoi carri armati T-72 e riceverà dagli Stati Uniti 116 M-1A1 Abrams come compensazione.

Le aziende americane la fanno da padrone, potendo garantire commesse più rapide rispetto agli europei. Inoltre, Washington elargisce la copertura politica di cui difettano le aziende del Vecchio Continente. Tuttavia ci sono realtà industriali europee che, nella crisi ucraina, hanno un ruolo tutt’altro che passivo. La tedesca Rheinmetall, che ha una filiale a Roma, ha messo a segno dall’inizio dell’anno un forte rialzo azionario, ben 38 punti. L’impennata si è verificata dopo le dichiarazioni dell’amministratore delegato Armin Papperger in merito all’ingente commessa per la fornitura all’Ucraina di proiettili da 35×228 mm sparati dai semoventi antiaerei tedeschi Gepard.

L’industria tedesca è particolarmente attiva. Il governo di Berlino, a maggio, ha commissionato alla Krauss-Maffei la costruzione di 18 MBT (Main Battle Tank) Leopard 2A8, come rimpiazzo per i Leopard 2A6 ceduti alle forze di Kiev. La commessa prevede un’ulteriore opzione per la fornitura di 105 carri. Berlino progetta di coinvolgere in questa opzione anche altri Paesi alleati bisognosi di aggiornare la propria componente corazzata. Il primo interessamento è arrivato dal governo ceco, il quale ha già intavolato delle trattative con Krauss-Maffei per la costruzione di una settantina di Leopard 2A8. È notizia recente l’intenzione del governo svedese di raddoppiare il numero di carri Strv 122 (versione locale aggiornata del Leopard 2A5) offerti a Kiev con ulteriori 10 esemplari e la Spagna fornirà altri 10 Leopard 2A4 in due lotti separati (6+4). Questi tank verranno molto probabilmente rimpiazzati, nei rispettivi eserciti, da altrettanti Leopard 2A8 fabbricati da Krauss-Maffei.

Il Paese della Nato più attivo nell’acquisizione di nuovi armamenti è però la Polonia, che si sta dotando di uno degli eserciti più potenti d’Europa. Abbiamo già accennato al rimpiazzo americano di 116 M-1A1, ma la commessa di carri più consistente – che non si vedeva dai tempi della Guerra fredda – sarà piazzata in Asia. La sudcoreana Hyundai Rotem ha sottoscritto con il governo di Varsavia un accordo per fornire mille esemplari del carro armato K-2 Black Panther, di cui 180 costruiti su licenza in Polonia. Sempre un’azienda coreana, la Hanwha Defense, fornirà a Varsavia 122 semoventi d’artiglieria AHS Krab da 155/52 mm.

Washington non è stata certo a guardare. Sono pronti per la consegna 500 lanciarazzi/lanciamissili mobili M-142 HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System), gli stessi forniti dagli americani agli ucraini, e 250 carri armati M-1A2 SEPv3 Abrams, con pannelli frontali della torretta in uranio impoverito. Si tratta di una delle ultime versioni del carro armato prodotta dalla General Dynamics Land Systems. Quest’ultima commessa era già stata concordata con gli Stati Uniti prima dell’invasione. La guerra in Est Europa sta dunque rivitalizzando un mercato che sembrava ormai defunto con la conclusione della Guerra fredda.

di Tiziano Ciocchetti e Mario Portanova

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