Realismo (più di quanto non ce ne sia stato nel 2019, secondo il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica), diversificazione (dalle rinnovabili al petrolio, passando per gas e nucleare) e semplificazioni. Sono alcune delle parole chiave del nuovo Pniec, Piano nazionale integrato per l’energia e il clima che dovrebbe portare l’Italia a rispettare i target climatici al 2030, ma non rispetta gli impegni presi in ambito G7. E che, per inciso, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) non ha mai inviato ‘in tempo’ a Bruxelles, dato che tuttora non compare sul sito della Commissione Ue. Entro la fatidica data del 30 giugno, infatti, è stato inviato solo un executive summary di 24 pagine. Nel frattempo, sono diverse le versioni del documento integrale circolate in questi giorni: 415 pagine che, a questo punto, dovrebbero essere inviate entro la fine di luglio. Solo allora ci sarà l’ufficialità e si darà il via all’iter che condurrà all’approvazione definitiva del nuovo testo entro giugno 2024. Ergo: improbabile che il piano del Mase, che nei prossimi mesi sarà oggetto della Valutazione ambientale strategica (Vas), sia già “al vaglio dell’Europa”. Per il ministero “il Pniec centra quasi tutti i target fissati dalle normative europee su ambiente e clima”, ma in quel “quasi” ci sono obiettivi cruciali per arrivare alla decarbonizzazione. D’altronde, la premessa c’è tutta e l’ha fornita il ministro Gilberto Pichetto Fratin: “Vogliamo indicare una via alla transizione che sia realistica e non velleitaria, dunque sostenibile per il sistema economico italiano”.

Il punto di partenza e i settori più complessi – L’ultimo Pniec risale al 2019 (la pubblicazione a inizio 2020) e non teneva conto dei nuovi obiettivi ambientali fissati dall’Unione europea con il pacchetto di riforme Fit for 55, che punta alla riduzione delle emissioni del 55% rispetto al 1990, per arrivare alla neutralità climatica nel 2050. Le ultime proiezioni Ispra indicano che l’Italia è ben oltre i livelli di emissione consentiti già per il 2021 per quasi 11 MtCO2eq (milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente) e quelle nei settori cruciali del civile e dei trasporti non hanno registrato sostanziali riduzioni dal 1990 ad oggi. “L’Italia condivide pienamente l’orientamento comunitario teso a rafforzare l’impegno per la decarbonizzazione dei sistemi energetici ed economici europei” spiega il Mase, sottolineando che il percorso da compiere “richiederà uno sforzo estremo, in modo particolare per quanto attiene la riduzione dei consumi e delle emissioni nei settori legati agli impegni dell’Effort Sharing Regulation (Esr)” vale a dire trasporti, civile, agricoltura, rifiuti e piccola-media industria”. Uno sforzo maggiore, dunque, anche rispetto ai settori dell’industria pesante legati agli impegni dell’Emission Trading Scheme (Ets).

Nel piano 2019 “eccessivo ottimismo” – Di fatto, già nella sintesi iniziale, il documento fa delle premesse e, confrontando gli obiettivi presentati nel 2019 e lo scenario al 2030 con le politiche vigenti, giustifica il gap con “l’eccessivo ottimismo del Piano 2019, l’incompleta attuazione delle misure previste e il mutato contesto (pandemia, ripresa economica, guerra)”. Con le politiche vigenti si stima un consumo finale di energia al 2030 di 109 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), contro le 104 a cui faceva riferimento il Pniec del 2019. Ci si aspetta, inoltre, che le emissioni nei settori che il Mase indica come più complessi, ossia quelli non inclusi nel Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’Unione Europea, si possano ridurre del 28,6%, mentre l’obiettivo del vecchio Pniec era del 33%. Va sottolineato, in questo caso, che il Regolamento Ue Effort Sharing, recentemente aggiornato, ha fissato un obiettivo per l’Italia ancor più ambizioso, prevedendo che le emissioni dei settori non-ETS si riducano entro il 2030 del 43,7% rispetto ai livelli del 2005. E poi si stima una penetrazione delle fonti rinnovabili (ossia il loro contributo sui consumi finali lordi di energia) del 27% (nel 2021 era al 19%), contro il 30% indicato nel Pniec 2019.

Le rinnovabili – Sulla quota da Fer nei consumi finali lordi di energia, il Pniec 2023 punta al 40%, centrando gli obiettivi di FF55 e RepowerEu. La quota, poi, sale al 65% per i consumi finali del solo settore elettrico (al 31% nel 2022, anche a causa del crollo dell’idroelettrico dovuto alla siccità), è del 37% di energia pulita per il riscaldamento e il raffrescamento e del 31% nei trasporti, mentre si conta di arrivare al 42% di idrogeno da Fer rispetto al totale dell’idrogeno utilizzato nell’industria. Solo che quel 65%, secondo diverse stime, non sarebbe sufficiente alla sostanziale decarbonizzazione del sistema elettrico al 2035, impegno preso dall’Italia in ambito G7. Per il think tank Ecco la quota dovrebbe essere di almeno il 76%. Secondo i piani del governo, comunque, l’evoluzione della potenza da fonte rinnovabile porterà a oltre 131 gigawatt installati (nel 2021 fermi a 58 GW) sostanzialmente grazie alla crescita di solare (da 22,5 del 2021 a 80 GW nel 2030), eolico (da 11 a 28 GW) e geotermia (da 817 a mille megawatt), mentre l’idrico rimarrà a 19 gigawatt e si prevede una riduzione delle bioenergie (da 4 a 3 GW). Qualche perplessità anche da parte di Elettricità futura, che a febbraio 2023 aveva presentato il suo piano: un aumento di 85 gigawatt di rinnovabili in 8 anni, aggiuntivi quindi ai 60,7 gigawatt di fonti pulite installati al 31 dicembre 2022. Il Pniec non arriva a quell’obiettivo procedendo a suon di circa 8 gigawatt l’anno (nel 2023 la partita sembra già compromessa, ndr) ma, soprattutto, sottostima alcune potenzialità, in primis per l’eolico offshore, per cui si prevede l’installazione di 2,1 GW (nello schema di decreto FER 2 era di 3,8 GW).

Il ruolo del gas – Nell’aggiornamento del Pniec, l’approccio è quello maggiormente volto alla diversificazione delle soluzioni tecnologiche disponibili per la decarbonizzazione. Si ribadisce il ruolo del gas come “essenziale per sostenere la coerenza tra lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile e la copertura della domanda specialmente durante i periodi di picco di domanda”, ma non si fornisce un confronto con le possibili alternative di gestione dei picchi di domanda o della sicurezza del sistema elettrico, sottolinea Ecco, come la demand response, che consente ai consumatori commerciali e industriali di gestire il proprio consumo energetico. Di fatto, il gas è onnipresente: per abbandonare il carbone come per compensare i ‘limiti’ delle rinnovabili, nel paese che una vera spinta alle Fer non l’ha ancora data. E così, per garantire la stabilità del sistema energetico, scrive il Mase “occorrerà costruire nel medio termine una serie di infrastrutture fisiche, la cui realizzazione dovrà avere tempi autorizzativi ridotti”. L’esempio è l’autorizzazione con procedura d’emergenza attuata per le due nuove unità galleggianti di rigassificazione e stoccaggio di gas di Piombino e Ravenna. Ma la lista di opere da realizzare o i cui lavori sono già partiti è lunga. Come ci si aspettava, poi, per raggiungere l’obiettivo di contenimento delle emissioni, in particolare del settore industriale, sarà necessario anche il ricorso a cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO2.

Dal carbone al nucleare – Secondo i piani del governo, a ridurre le emissioni nei settori coperti dal sistema Ets contribuirà particolarmente il phaseout del carbone, programmato entro il 2025, ad eccezione degli impianti situati in Sardegna. Per quelli, infatti, “risulta indispensabile l’entrata in esercizio del Tyrrhenian link, oltre che lo sviluppo di FER e della capacità contrattualizzata nel Capacity Market, strumento nato come aiutino alle aziende del fossile in vista della ‘transizione’ e che il governo vuole evidentemente mantenere, pur non essendo ancora chiaro se e quali modifiche verranno apportate al sistema. Tornando al carbone, resta da attuare il phase out degli impianti di Civitavecchia, Brindisi, Monfalcone, Sulcis, Fiumesanto. Totale: 5.500 MW (1.000 MW in Sardegna). Nel Pniec si ricorda che la crisi geopolitica causata dalla guerra in Ucraina ha rallentato ogni progetto. E allora, Sardegna a parte, il piano è questo: dismissione di 1.480 megawatt ad aprile 2024, di altri 1.210 ad aprile 2025 e di 1.845 a gennaio 2026. Il vincolo è l’entrata in servizio della capacità di generazione e accumulo contrattualizzata nelle aste di capacity market, ma le condizioni sono diverse. Rispetto al nucleare basti un passaggio: “Affinché le tecnologie nucleari avanzate rappresentino un contributo sostanziale agli obiettivi di decarbonizzazione, il loro dispiegamento dovrà aver luogo nel prossimo decennio”. Lo dice il Pniec.

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