In Israele si protesta di nuovo contro la riforma della giustizia promossa dal governo di Benjamin Netanyahu, che da mesi mobilita l’opinione pubblica perché ritenuta una grave torsione autoritaria dell’esecutivo. A poco pare sia servito il parziale arretramento di Netanyahu, che negli scorsi giorni aveva annunciato di voler rinunciare ad uno dei provvedimenti più controversi della riforma, relativo alla revoca del “principio di ragionevolezza” che consente alla Corte Suprema di bocciare in alcuni casi le leggi approvate dalla Knesset. Nelle scorse ore, nonostante l’operazione militare dell’esercito in corso a Jenin, in Cisgiordania, le organizzazioni che hanno indetto le proteste hanno confermato le azioni previste: il porto marittimo di Haifa è stato bloccato dai manifestanti, che hanno descritto il proprio gesto come “uno dei passi di dozzine di atti di resistenza che fermeranno il governo della distruzione e non consentiranno il passaggio di alcuna legge dittatoriale”.

È inoltre previsto il blocco delle vie di accesso all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Ieri, 2 luglio, il portavoce della polizia Ely Levy ha dichiarato: “Rispetto per il diritto alla protesta, ma tolleranza zero verso la chiusura di strade“. Gli agenti hanno dunque l’ordine di impedire con la forza qualsiasi ostruzione al traffico; le automobili che intralcino il traffico saranno rimosse ed i proprietari multati, mentre il numero massimo di dimostranti è stato fissato a 5mila, con l’obbligo di mantenersi in un’area prestabilita. In risposta i manifestanti, che nel frattempo si sono dati il nome di “Forza Kaplan” – dalla strada di Tel Aviv dove da ben 26 settimane si ripetono le manifestazioni del sabato sera – hanno emesso un comunicato nel quale ribadiscono che “è diritto dei cittadini protestare ovunque contro la dittatura, ed è appunto quanto avverrà. Sarà una protesta democratica, non violenta, per bloccare le intenzioni dittatoriali del governo israeliano”.

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