Il Tour de France 2023 comincia oggi da Bilbao. Compie centoventi anni: dalla Belle Epoque alla guerra in Ucraina. Per i francesi è la Grande Boucle, il simbolo più amato, l’evento più popolare, la vetrina del Paese. Come lo è la Tour Eiffel. Magia delle parole: il “Tour” in bicicletta vuol dire Giro. L’Eiffel, torre. Ma si scrivono allo stesso modo.

Proprio durante questo nuovo Tour, il 19 luglio, Emile Idée compirà 103 anni: è il concorrente più anziano ancora in vita, un grande corridore francese (classe 1920) che vinse la tappa da Tolosa a Nîmes nel 1949, il 14 luglio, data anch’essa simbolica, 289 chilometri di tracciato ondulato – “les petites côtes” – nella vallata della Chevreuse, ragion per cui i tifosi lo chiamarono “le Roi de Chevreuse”: “Quel giorno piegai Fausto Coppi e gli italiani che dominavano il Tour”, ricorderà Idée, che fu il grande rivale del Campionissimo in due edizioni del prestigioso Grand Prix des Nations, la corsa a cronometro più ambita ed importante del calendario professionista (si disputò in Francia dal 1932 al 2004): nel 1946 e nel 1947 il francese fu infatti secondo alle spalle di Fausto che vinse quel Tour davanti a Bartali con distacchi abissali. Quando Idée fu primo a Nîmes, in maglia gialla c’era Fiorenzo Magni.

Idée è dunque un formidabile testimone di quel ciclismo che infiammava le folle dell’Europa appena uscita dalla immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Peggio. E’ anche il solo superstite di un’avventura ciclistica di cui i francesi non è che vadano molto fieri. Anzi. Tendono a seppellirla nei cassetti delle memorie perdute. E’ il famigerato Circuit de France che doveva ripetere l’epopea del Tour (sospeso per ragioni belliche, l’ultimo vincitore, nel luglio del 1939, fu il belga Sylvere Maes), secondo le intenzioni dei nazisti occupanti e dei collaborazionisti. Un simulacro. Un ersatz: un sostituto. Un Tour posticcio, piccolo piccolo.

Emile Idée era un campione: forte in pianura, veloce negli sprint, passista poderoso, ottimo in pista. La guerra interruppe la sua ascesa. Correva per la Alcyon-Dunlop. L’occupazione nazista divise la Francia in due. Correre era un’impresa. Non c’erano più soldi e gli ingaggi erano scarsi. Nel 1941 Emile cercò di partecipare ad una corsa nella zona libera. Fu arrestato per aver violato il divieto di attraversare la linea di “demarcazione”. Trascorse otto giorni alla prigione di Fresnes e tre settimane alla Santé. Con lo spettro di essere spedito in un lager oltre il Reno. Lo salvò la sua reputazione sportiva.

I tedeschi, infatti, vogliono far capire al popolo francese che sono capaci di proporre altre cose che non siano solo lacrime e sangue. E’ impossibile. Il clima a Parigi è irrespirabile. Il mercato nero una piaga. I valori morali crollano, la fame e il terrore dilagano. Il 16 e il 17 luglio, grazie allo zelo dei poliziotti parigini e alle spie, vengono ammassati 13mila ebrei al Vel d’Hiv, il tempio del ciclismo su pista. Saranno deportati. Solo settecento torneranno in Francia. Sono i mesi in cui la Resistenza francese comincia ad organizzarsi. La guerra sul fronte orientale non va come previsto. I sovietici resistono. In Africa si teme l’invasione degli Alleati da un mese all’altro. Radio Londra è il bollettino che contraddice la propaganda hitleriana. I primi ad esserne consapevoli sono proprio loro, gli occupanti. Non bastano i manifesti, i giornali asserviti, la radio e l’appoggio del regime di Vichy. Così, si decide di agire con qualcosa che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto rinverdire i fasti e la popolarità del Tour de France, l’evento sportivo più amato dai francesi, il collante identitario. Lo sport è un formidabile strumento di propaganda, la direttiva arriva direttamente dal Führer: dimostrare appunto che lo sport era più forte di tutto, e l’agonismo capace di esaltare gli ideali nazisti legati al corpo e alla forza fisica. Come successe ai trionfali Giochi Olimpici del 1936 filmati dall’entusiasta regista Leni Riefenstahl, la cui opera “Olympia” veniva programmata non a caso nei cinema parigini.

Perciò i nazisti si rivolgono a Jacques Goddet perché metta in piedi un Tour de France, come quelli che dirigeva, ma Goddet rifiuta e impedisce l’uso del nome “Tour de France” di cui ha l’esclusività. Non resta che ripiegare sul giornalista Jean Leuilliot, redattore capo dello sport al quotidiano collaborazionista La France Socialiste. Un esperto. E un sincero appassionato del ciclismo che però ha scelto di stare coi vincitori. Del resto, aveva già avuto esperienze sia al Tour, sia al Giro di Spagna nel 1940 (era tornato con la convinzione che fosse possibile organizzare una corsa a tappe malgrado la guerra). Inoltre Leuilliot poteva vantare la sua giovanile esperienza con il giornale L’Auto (l’antenato dell’Equipe) che aveva promosso e sponsorizzato il Tour de France, lanciandolo nel 1903. Inventa subito un nome alternativo: Circuit de France e La France Socialiste, testata collaborazionista foraggiata dall’ambasciata tedesca (novembre del 1941 all’agosto del 1944), ne diventa “patron”, perché vuole sfruttare la popolarità del ciclismo e incrementare le vendite. Molto vicino a Pierre Laval, è un foglio antisemita e antimassonico, ideologicamente riunisce nella redazione uomini di sinistra disposti a collaborare con l’occupante, per questo i tedeschi lo appoggiano, perché convinca gli ambienti operai a far lo stesso, sebbene la Propaganda Abteilung lo sospetti di simpatie democratiche se non addirittura bolsceviche.

Leuilliot è ambizioso. Accetta la sfida. Ha pochi mezzi a disposizione. E poco tempo. Così sfrutta gli appoggi nazisti. In breve traccia un percorso complessivo di 1650 chilometri, suddiviso in sei tappe. Partenza e arrivo a Parigi. Tappe a da Le Mans a Poitiers, da Chauvigny a Limoges, e via via a Clermont Ferrand, Saint-Etienne, Lione e Digione. Racimola dodici squadre che non possono rifiutare l’invito perché altrimenti verrebbero bandite dall’attività. Non ci sono soldi per gli hotel: i corridori saranno ospitati nei seminari o nei convitti scolastici. Pure il cibo è razionato, come lo è per tutti i francesi: i corridori hanno a disposizione una tessera annonaria consegnata dalle squadre. Nel frattempo, a Lione, si disputa il campionato francese su strada. Vince Emile Idée.

Per Leuilliot è impossibile schierare i corridori del Circuit de France senza colui che indossa la maglia tricolore. Ma Emile è riluttante. Non ha simpatia per i collaborazionisti, né per i loro padroni tedeschi. Rifiuta. Ma Leuilliot è stato informato dalla polizia che Idée è già finito in galera per avere oltrepassato la linea di demarcazione senza permesso. “Se non corri, finisci nei campi dello STO (Service du Travail Obligatoire). Forse in Germania. La Gestapo ti ha nel mirino… “Fu un ricatto, e così, sebbene non molto in forma, dovetti partecipare assieme ad altri 71 ciclisti, molti erano belgi, c’erano anche italiani…”. Il via è al mattino del 28 settembre. L’arrivo il 4 di ottobre.

Un circuito che si trasforma in farsa. Tutto è abborracciato. Fa un freddo cane, in montagna. Nella tappa di Limoges, Idée si piazza secondo e conquista il primato, indossa cioè la maglia zebrata bianca e nera del primo in classifica. A Parigi arrivano in 29, Idée è nono, il vincitore assoluto è il belga François Neuville. Al confine di Jardres, quando la corsa attraversa la linea di demarcazione, i controlli durano tre ore: “Fu una situazione irreale. I giornali collaborazionisti scrissero invece che si trattò di un passaggio normale. Come se io raccontassi una partita di calcio in Ucraina senza dire degli allarmi e delle bombe”, commenta Emile Idée, assai lucido nei ricordi. Che si sono riversati nel bellissimo saggio-romanzato del giornalista Étienne Bonamy, Les forcés de la route in cui l’autore rintraccia l’epopea caotica del Circuit de France (En Exergue, 206 pagine, 20 euro). Pure in questo caso, un gioco di parole nel titolo che ricorda il celeberrimo Les forçats de la route dello scrittore Albert Londres, il quale descrisse superbamente le spaventose fatiche dei corridori nel Tour del 1924: quando affrontavano le impervie salite dell’Isoard e del Galibier, non sembravano più appoggiarsi sui pedali, ma “sradicare dei grossi alberi”. Quei corridori erano i “forzati delle strade”. I 72 tapini del Circuit de France erano “forzati”, come i galeotti. Legati alla catena. Fa niente, se di una bicicletta.

Ps. Dopo la guerra, Idée ha continuato a correre da protagonista: secondo alla Parigi-Tours del 1947, battuto dal fiammingo Brick Shotte, campione del mondo nel 1948 e 1950 (correva pure lui nell’Alcyon), “in realtà vinsi io e lui mi superò dopo la linea del traguardo, i giudici assegnarono la vittoria a lui, ma tutti, a cominciare dal mitico Pierre Chany (considerato il più importante giornalista francese di ciclismo, nda), dissero che fu un furto…”. Nella stessa corsa fu terzo altre due volte, una volta vinse il Grand Prix des Nations, e cinque volte fu primo nel Criterium National, record condiviso con Raymond Poulidor e Jens Voigt. Smise a metà degli anni Cinquanta e continuò a pedalare sino a 98 anni. Vive a Marolles-en-Brie, nella Valle della Marna, che fa parte della regione parigina.

Quanto all’ineffabile Jean Leuilliot (1911-1982), un protetto di Henri Desgrange che gli affidò la direzione della squadra francese al Tour del 1937, fu coautore della sceneggiatura di Pour le maillot jaune, un film girato durante il Tour del 1938. Sopravvisse alle accuse di collaborazionismo sino a rilanciare l’organizzazione della Parigi-Nizza nel 1951. Nel 1968 inventa la formula del prologo e la formula “open” aperta ai corridori amatori nel 1974. Organizza un velleitario Tour d’Europe nel 1954 e l’anno dopo il primo Tour de France femminile.

Fotogramma dal video 41e Paris-Roubaix

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