Due Mondiali e quattro Olimpiadi mancate di fila: il buco nero in cui è sprofondato il calcio italiano è nel tempo che passa e sbiadisce sempre di più l’azzurro. Due decenni lontani dalle principali manifestazioni internazionali a livello senior e giovanile, intervallati da un titolo (2021) e una finale (2012) europee, che però rappresentano l’eccezione e non la regola. Due decenni senza talento. Due decenni di nulla. L’ultima batosta per il movimento è l’eliminazione dell’Under 21 agli Europei di categoria in Romania e Georgia, dopo la sconfitta per 0-1 contro la Norvegia, in un match in cui sarebbe bastato il pareggio. Niente fasi del torneo, soprattutto niente pass per le Olimpiadi da cui manchiamo addirittura da Pechino 2008. Eppure stavolta la FederCalcio del presidente Gravina, sollecitata anche dal Coni stufo di non poter contare sul pallone per il medagliere, aveva provato a fare le cose per bene, mettendo a disposizione dell’Under anche i migliori fuori quota già impiegati da Mancini, come Tonali a Gnonto. Non è bastato nemmeno quello.

Nella disfatta ci sono diverse concause: una buona dose di sfortuna nella gara inaugurale contro la Francia condizionata da clamorosi errori arbitrali, le responsabilità del ct Nicolato che non è riuscito a dare un’identità alla squadra e non ha convinto nelle scelte, né dei cambi durante le partite né a monte nelle convocazioni, senza dimenticare il “tradimento” di Kean che doveva essere la punta di diamante dell’attacco e ha snobbato la competizione. Ma la vera spiegazione del flop azzurro sta nella continua, desolante mancanza di talento: l’Italia è un movimento calcistico che da anni non produce più giocatori di gol e di fantasia e ancora una volta si è presentata all’Europeo di categoria con un reparto d’attacco inesistente. Pellegri, Colombo, Cancellieri, lo stesso Gnonto: tutta gente che centellina presenze a fatica in Serie A. Senza nemmeno tentare il paragona con la Francia, persino le modeste Svizzera e Norvegia ci sono sembrate superiori sul piano del talento. Nel momento decisivo della partita gli scandinavi hanno buttato dentro Antonio Nusa, 2005 già in forza al Bruges (per non parlare della mancata convocazione di Haaland). Noi semplicemente non avevamo nessuno che facesse la differenza. E torniamo a casa a testa bassa, un’altra volta.

Si potrebbe dire che l’eliminazione prematura dell’Under 21 è l’ennesima manifestazione della crisi del nostro calcio, ma forse in realtà il dato va interpretato all’opposto: il fallimento della nazionale giovanile è la causa, e non la conseguenza, dello sprofondo azzurro. Basta guardare al passato e consultare l’albo d’oro: un tempo gli Europei Under 21 erano davvero il nostro orticello di casa. Quattro vittorie e una semifinale tra il ’90 e il 2002: quelle erano le squadre dei vari Totti, Inzaghi, Vieri, Gattuso, Nesta, Cannavaro, Buffon, Toldo, solo per citare alcuni nomi, i campioni che poi hanno costituito per anni l’ossatura di una grande nazionale arrivata fino al titolo mondiale. Risultati meno strabilianti ma comunque discreti sono proseguiti fino alla finale persa nel 2013 (la squadra di Immobile, Insigne e Verratti, il cui merito però è quasi tutto del lavoro di Zeman a Pescara e non del nostro movimento). Poi il buco nero: appena una semifinale nelle ultime cinque edizioni, solo delusioni. In questa squadra, come nelle precedenti, non avevamo talenti particolari, quasi nessuno da aspettare. E infatti nessuno è arrivato a risollevare le sorti della nazionale maggiore, che per ben due volte non si è qualificata ai Mondiali, e non solo per caso o per sfortuna.

La crisi degli azzurri di oggi va insomma ricercata in quella degli azzurrini di ieri. Il nostro sistema non produce giovani e quei pochi che ha li disperde. È come se avessimo saltato a piè pari almeno due generazioni, l’intero arco degli Anni Novanta, anno di nascita di Mario Balotelli, ultimo vero campione (mancato) del nostro calcio. Qualche sprazzo di talento si è poi intravisto in Zaniolo e Chiesa, davvero troppo poco per resistere alle bizze degli infortuni e del carattere. E se questo ragionamento è valido, significa che purtroppo il futuro è ancora cupo: anche in questa Under che ha fallito così miseramente non ci sono segnali di rinascita, nessuno su cui puntare nell’immediato per la nazionale maggiore. Ecco, semmai un filo di speranza viene dai più piccoli dell’Under 20: la finale mondiale in sé vale poco, a livello così giovanile i risultati lasciano il tempo che trovano, ma in quella squadra ci sono almeno tre talenti offensivi (Pafundi, Baldanzi e mettiamoci pure Casadei) che in Italia non si vedevano da tempo. Un barlume in fondo al tunnel, che rischia di essere ancora molto lungo.

Twitter: @lVendemiale

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