di Chiara Piana

“Cos’è l’insepoltura? Problema di centimetri? Di sabbia? O problema di giustizia?”. Questo si chiedeva Marco Paolini in uno spettacolo del 2002 dedicato alla strage di Ustica del 27/06/1980. Domanda evidentemente retorica, perché fin dalla cultura dell’antica Grecia sappiamo che la mancata sepoltura dei morti non è una banale caduta di stile, ma un’offesa alla dignità e alla persona umana – oltre che ai suoi familiari – e, pertanto, un’ingiustizia. A insegnarcelo sono i poeti e i tragediografi greci, tra i quali va ricordato soprattutto Sofocle con la sua Antigone, in cui la sepoltura è strettamente connessa al concetto di “giustizia”.

È la giovane protagonista a spiegarci, infatti, che abbandonare il corpo di un defunto alla marcescenza e al vilipendio da parte di cani e uccelli è un atto profondamente ingiusto, ossia “contrario al diritto”. Più precisamente, esso contravviene non tanto al diritto positivo, ossia alle leggi umane, bensì a quello naturale, che esprime il massimo e più autentico concetto di Giustizia e che, secondo i Greci, era dettato dagli dèi.

Antigone contesta e vìola, dunque, la legge del re in nome di una Legge superiore e inviolabile quale è quella divina, secondo cui la persona e la dignità umana devono sempre essere rispettate e onorate. Quell’idea di Giustizia, seppur con diverse declinazioni, è sopravvissuta fino ai nostri giorni e merita di essere pretesa da chiunque sia cittadino di uno Stato civile.

Questa è la richiesta, purtroppo spesso utopistica in Italia, di tutti i parenti delle vittime delle numerose stragi che hanno scosso il nostro Paese, ivi compresa quella di Ustica, nella quale un aereo con a bordo ottantuno persone innocenti venne abbattuto da un missile e precipitò in fondo al Tirreno. Nessuno sopravvisse e per molti di quei corpi non ci furono né sepoltura né giustizia; al contrario, essi vennero oltraggiati anche nei quarantatré anni seguenti da apparati dello Stato che si impegnarono alacremente affinché non si arrivasse all’individuazione dei responsabili di quell’incidente, come da italica tradizione.

Per questo motivo, i familiari delle vittime proseguono con la loro richiesta di Giustizia e di verità, alla quale tutti noi dovremmo unirci, perché è un fatto che ci tocca ancor più da vicino – io credo – delle stragi di mafia. Le vittime di Ustica non erano, infatti, uomini delle istituzioni che portavano avanti specifiche battaglie di legalità contro precise entità criminali e, quindi, esposti a un certo rischio, bensì cittadini comuni: come sottolinea Paolini, quelle vittime siamo noi ogni volta che prendiamo un aereo. Quelle vittime erano, in sintesi, persone semplici e lontane da ruoli pubblici che le ponessero in condizioni di essere bersagli di un avversario.

Se consideriamo che anche quelle persone, uccise da un attacco militare in tempo di pace, non hanno ancora avuto giustizia, sorge spontaneo chiedersi con quale coraggio continuiamo a sciacquarci la bocca con parole quali “diritti, civiltà, democrazia” o parliamo di “sovranismo”: cosa ci sia di sovranista in uno Stato che, di fronte a un simile accadimento, non è capace (o non vuole) garantire l’individuazione e la sanzione dei responsabili – connazionali e internazionali – non arrivo a comprenderlo.

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