Scrivo in merito alla vicenda di Rovigo dove gli organi collegiali di un istituto tecnico hanno deciso di non far ripetere l’anno ai due giovani che a gennaio in classe avevano sparato dei pallini in faccia alla loro professoressa, sollecitato da più colleghi a dire la “mia” sul caso. Questa questione è molto più delicata di quanto possa sembrare.

Premessa: come dice in un mio articolo, pubblicato in questi giorni su ilfattoquotidiano.it, Gustavo Pietropolli Charmet (psicologo) “quando di fronte a questi fatti si risponde in modo duro si da solo soddisfazione alla pancia dell’opinione pubblica”. Da più parti ho sentito reclamare la bocciatura per questi ragazzi, il cinque in condotta, i lavori socialmente utili senza fare una riflessione più amplia, senza calare il tutto nel contesto. Proviamo, allora, a fare un ragionamento.

1) Non è un gesto giustificabile quello che è stato fatto dai due ragazzi verso la loro insegnante. Sparare dei pallini da un banco è un reato non è uno scherzo. Questi giovani – come altri da alcune generazioni – non hanno ben chiaro le conseguenze delle proprie azioni. Ciò accade perché a casa, spesso, c’è chi (madri, padri, compagni degli uni o degli altri) non sa farsi rispettare e subisce dai figli ogni angheria. Il problema sarebbe più lungo da affrontare ma basti dire (e perdonate la semplificazione) che la rottura dello statuto della famiglia ha portato alla dissolvenza dei ruoli fino ad arrivare a tal punto. Come dice il pedagogista Daniele Novara, i genitori non assolvono più al loro compito ma fanno i pari, dormono nel lettone con i figli fino a 12 anni e aggiungo io gli comprano persino i preservativi o la pillola e gliela mettono sul comodino.

2) Detto ciò, guardando il video (che gli stessi ragazzi hanno fatto e diffuso via social) del momento in cui l’insegnante viene colpita si intuisce che abbiamo di fronte una docente “inadeguata” e una classica lezione frontale che fa percepire il metodo didattico di questa prof. Se fossi stato al suo posto nessuno sarebbe uscito da quell’aula se non mi avessero consegnato l’arma e chiesto scusa e da lì sarebbe partito un processo educativo. Invece, non avviene nulla. E’ facile pensare che il rapporto tra questa classe e questa docente fosse rotto da tempo.

Mi chiedo: quei ragazzi avevano segnalato ad altri docenti la questione? Qualcuno si era fatto carico di quella situazione? In ogni caso la lezione che si trae da questo video è una: non tutti possono insegnare. Non basta avere una laurea per educare.

3) “Ma se si perde loro, la scuola non è più la scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati” (don Milani). Quindi hanno fatto bene a non bocciarli ma avrei dato loro un sei un sette in condotta. E’ chiaro che la scuola – come ha detto Novara – non è un istituto penale e non ha il compito di punire ma di intervenire. Son due verbi ben diversi. Anzi la scuola è il posto giusto o tale dovrebbe essere se dei ragazzi hanno da risolvere dei nodi. Perché bocciarli? Per aumentare la loro rabbia nei confronti di una scuola che già gli ha donato una prof inadeguata?

4) Qualcuno reclama i lavori socialmente utili ma come qualche mese fa sempre Novara disse che quest’ultimi non devono essere una punizione. Avrei proposto un progetto di mediazione penale sul modello carcerario ovvero l’incontro tra gli autori del reato e la vittima. Vuoi mettere? Molto più difficile per loro che dei lavori socialmente utili o una lettera di scuse dei legali.

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