di Massimo Falchetta

La questione climatica sostanzialmente si traduce in due affermazioni forti: il clima stia cambiando e la causa è antropica, più specificatamente imputabile all’emissione di CO2 che produce il cosiddetto effetto serra. Queste due conclusioni, che sono il messaggio fondamentale dell’IPCC, da alcuni anni sono state assunte anche da molti governi, in particolare dall’Unione Europea, come cardine delle politiche energetiche dei prossimi 30 anni (con obiettivi che vanno dal 2030 al 2050).

Recentemente queste conclusioni, che sembravano ormai consolidate, tornano a venire messe in dubbio. Tornano perché c’è voluto parecchio tempo affinché le preoccupazioni iniziali di alcuni scienziati, a partire dagli anni ‘70 dello scorso secolo, diventassero sempre più condivise e poi dominanti nella Comunità Scientifica. Fino a diventare appunto la premessa delle politiche energetiche e tecnologiche. Infatti se si accetta la citata conclusione scientifica, ne consegue che vanno presi provvedimenti sostanziali, in primis in campo energetico. E decarbonizzare la struttura produttiva e dei consumi ha un impatto enorme sull’economia e sui comportamenti dei cittadini. E’ qui che si innesta la strumentalizzazione.

Nello scorso secolo e fino a epoche recenti è stato il settore legato all’industria fossile a strumentalizzare la questione, sostanzialmente negando il legame fra clima ed emissioni. Una volta che l’industria e l’economia legata al nuovo ciclo produttivo hanno preso forza in seguito a un grande sforzo di Ricerca e Sviluppo iniziato negli anni ‘70, si è creata una nuova lobby economica/industriale che si contrappone a quella precedente (anche se spesso gli attori principali sono gli stessi). Essa opera nei settori delle tecnologie energetiche rinnovabili, dei sistemi di accumulo, dell’utilizzo di idrogeno come vettore energetico; si serve di digitalizzazione, nuove tecnologie, espansione delle reti elettriche, elettrificazione di tutti i settori, in particolare dei trasporti….

Si può dire che le aziende legate al nuovo ciclo hanno strumentalizzato la questione climatica? In un certo senso sì. Del resto non poteva che essere così, volendo sostituire il vecchio ciclo energetico/economico con uno nuovo. Un aspetto che viene poco considerato è il fatto che il nuovo ciclo si basa su forti investimenti iniziali (il cosiddetto CAPEX), piuttosto che sull’uso di combustibile durante la vita di un impianto (il cosiddetto OPEX). Il ruolo della finanza aumenta, e questo fa capire perché la finanza occidentale ha virato sui suoi obiettivi. Recentemente, si sta quindi sviluppando una reazione da parte di alcuni settori “antagonisti” (che non sono gli stessi di 40 anni fa). Infatti l’accento della transizione non fa più leva sulle “colpe” del settore fossile, ma sui comportamenti dei cittadini. Questi vengono ora quasi obbligati a tutta una serie di spese.

Ciò porta a una reazione. I settori “antagonisti”, valutando la possibilità di aumentare il consenso, adottano quindi le posizioni dei settori scientifici “scettici”, che conseguono così nuova visibilità. Oltre a riaffermare che il clima è sempre cambiato (in effetti, centinaia di milioni di anni fa il livello del mare era più alto di centinaia di metri…) recentemente alcuni – alcuni, sia chiaro! – sostengono addirittura che i disastrosi eventi dell’Emilia sarebbero provocati da esperimenti di geoingegneria (inseminazione dell’atmosfera) finiti male o frutto di esperimenti militari. Il punto fermo è invece che l’effetto serra antropico è un meccanismo ben spiegato e che ciò che preoccupa è la velocità del mutamento, mai registrata in precedenza.

In conclusione, occorre distinguere la scienza dalla strumentalizzazione della scienza. E considerare che la transizione energetica si può fare in modi diversi. Ad esempio, dobbiamo cambiare auto (e sempre più costose) o sviluppare il trasporto pubblico decarbonizzato? Ma ci sarebbe molto altro; qui il discorso diventa realmente politico.

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