di Alessandro D’Ambrosio

Ce l’abbiamo avuto tutti quello zio. Quel parente che prima o poi durante la cena di Natale o il compleanno del cugino, del cognato, del nipote, ha pronunciato la fatidica frase, quella che racchiude tutto il nonsense dell’era politica berlusconiana: “Si, va bene tutto, ma almeno Silvio ha fatto qualcosa”.

Ciò che accomuna tutti questi improbabili sostenitori è un sottile dettaglio: nessuno sa indicare con precisione che cosa egli abbia fatto; di certo “qualcosa” lo ha fatto e ne ha dato prova evidente nel corso della sua lunga vita, a nessuno mai è venuto in mente di accusarlo di infingardaggine, senz’altro si è trattato di un uomo straordinario, laborioso, intelligente, nonostante ciò mi viene in mente una frase tratta da una canzone di Alessandro Mannarino di qualche anno fa: “bisogna saper distinguere la luce delle stelle, da quella delle lampare”. Il problema sistematico di buona parte degli italiani è questo, non sanno distinguere.

Chiedete a quello zio, a quel parente: qual è la più importante riforma approvata in uno dei molteplici governi Berlusconi? Qual è la legge per cui possiamo ancora oggi ricordare positivamente il presidente del consiglio Silvio Berlusconi? Qual è il provvedimento intrapreso dai governi Berlusconi per cui oggi possiamo considerare l’Italia un paese sviluppato, all’avanguardia su diritti civili, sul lavoro, sul tema migrazioni, sulla politica estera? Insomma, cos’ha fatto per tutti noi Silvio Berlusconi?

Non vi saprà rispondere. Tendenzialmente a queste domande lo zio interlocutore tenta uno sproloquio sul suo “atteggiamento da leader”, il suo “carattere da vincente”, il suo “carisma fuori dal comune” per poi scivolare velocemente sull’importanza delle sue aziende, dei posti di lavoro creati, eccetera.

Caro zio, quello non è il presidente Silvio Berlusconi, quello è l’imprenditore Silvio Berlusconi, e di imprenditori dediti al lavoro, che rischiano tutti i giorni facendosi in quattro per tenere in piedi le proprie aziende, l’Italia è ancora e nonostante tutto ben fornita, pertanto se vogliamo ricordarne uno, forse non sarebbe meglio prendere ad esempio Adriano Olivetti ed altre decine di imprenditori venuti prima e dopo di lui?

La verità è un’altra, ed è scritta tra i genomi di ogni italiano medio che si rispetti: Silvio ci sapeva fare, punto. Aveva la battuta pronta, la barzelletta scema, il sorriso perenne sulle labbra, l’atteggiamento da amicone, l’ammiccamento giusto, insomma, era un perfetto agente immobiliare, e infatti tutto era cominciato così. Silvio, l’impresario che negli anni 60 vendeva case a Milano, era perfetto per convincere la signora Luisella a comprare l’alloggio nuovo nonostante il cucinino non fosse così spazioso, e ad intortare il signor Mariano sapendo bene che il vano garage non era stato denunciato al catasto. Solo che aveva tremende ambizioni, proprio non poteva fermarsi alla costruzione e compravendita di immobili, alle televisioni private, alle radio, alle assicurazioni, ai cavalli spediti in un albergo, alla grande distribuzione, all’editoria, alle holding, ai negozi di parrucchiera ed estetista, ai centri commerciali, alle squadre di calcio, e così un giorno ha scelto di scendere in campo, il resto è storia.

E allora, caro zio, la verità è che nel 1994 gli italiani hanno cominciato a votare il più abile degli agenti immobiliari solo perché si sono innamorati del suo carisma, del suo savoir-faire, della sua eleganza, della sua immagine, nel frattempo sono passati quasi 30 anni, e l’unico risultato tangibile sinora è che i nipoti di quello zio che nel 1994 sosteneva Berlusconi sono cresciuti e hanno iniziato a votare con il suo stesso identico criterio, per il quale in politica non conta la reale competenza, la caratura intellettuale, l’interesse per la cosa pubblica.

L’importante è saper vendere le case.

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