Milan, Monza e non solo. C’è altro all’interno della parabola sportiva di Silvio Berlusconi. Pagine a tinte rossonere e biancorosse, ma anche un progetto dai più dimenticato, un’idea naufragata dopo appena cinque anni: quella della Polisportiva Mediolanum (o polisportiva Milan). La volontà era precisa, quella di far coesistere all’interno di un’unica realtà tanti sport che venivano da una storia differente. Tutte riunite sotto uno stemma e sotto la persona di Berlusconi, con il suo spirito aziendale come stella polare di riferimento. Una novità per il periodo, ma non certo in senso assoluto. Pescando nel passato dello sport italiano di polisportive se ne trovano molte.

È il 1989. Le prime riunioni servono a mettere in piedi un modo diverso di pensare all’organizzazione sportiva e alla pianificazione pluriennale, e anche a trovare le persone giuste. A Berlusconi ne serve in particolare una di fiducia che tenga le redini del tutto, sorvegliando il progetto e indicando la direzione da seguire. Questa inizialmente assume le sembianze di un friulano dal carattere forte e dalla grande duttilità, grande calciatore tra gli anni Sessanta e Settanta con le maglie di Juventus e Milan. È Fabio Capello. La sua non è però un’esperienza lunga. Appena due anni, fino al 1991, giusto il tempo di porre le prime basi. Berlusconi ha bisogno di lui per un compito ben più importante, guidare il Milan dopo l’addio di Arrigo Sacchi.

Ma oltre al calcio, di quali sport si parla? Il Cavaliere mette dentro la polisportiva volley, rugby, hockey e baseball. Ingaggia grandissimi campioni e i risultati arrivano, anche se non certo paragonabili a quelli dei rossoneri di Sacchi prima e Capello poi. Il baseball porta due Coppe Italia e una Supercoppa Ceb. I Devils Milano dell’hockey su ghiaccio regalano uno scudetto e una Alpenliga. Dal Gonzaga Milano di pallavolo invece provengono una Coppa delle Coppe, una Cev e due Coppe del Mondo per club. La disciplina che regala però più soddisfazioni è il rugby, con l’Amatori Milano capace di vincere quattro scudetti e una Coppa Italia. Non è un caso se il Cavaliere decide di mantenerne il controllo fino al 1998, quattro anni dopo lo scioglimento ufficiale della Polisportiva.

Nella mente di Berlusconi c’è la voglia di ampliare il pubblico e moltiplicare i tifosi al seguito. I piani però non vanno esattamente come da lui sperato. Troppi infatti sono i soldi spesi per raggiungere questi risultati. L’ingaggio di grandi giocatori comporta ovviamente il pagamento di stipendi molto pesanti e il progetto diventa ben presto economicamente insostenibile, anche perché nel grande disegno sportivo di Berlusconi manca un tassello assolutamente indispensabile, il basket. Dopo il calcio e il ciclismo, è il terzo sport nazionale, soprattutto a Milano. La pallacanestro potrebbe garantirgli un incremento esponenziale di appassionati. Berlusconi prova ad acquistare la società milanese ma non ci riesce. E così la polisportiva rimane una realtà incompleta e difficilmente futuribile. Anche perché, nel frattempo, è arrivato altro ad occupare i pensieri del Cavaliere. Il 26 gennaio 1994 Berlusconi annuncia la sua “discesa in campo” in vista delle elezioni del marzo successivo. Una nuova avventura è cominciata e i soldi destinati alla Polisportiva devono essere dirottati anche verso la politica. E così una dopo l’altra le società vengono cedute rapidamente dalla Fininvest. Per la propaganda politica attraverso lo sport basta e avanza il suo Milan, che nel frattempo continua a dominare in Italia e in Europa.

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