Il 15 giugno è la Giornata Internazionale per la consapevolezza degli abusi sugli anziani riconosciuta nel 2011 dall’Assemblea generale delle nazioni unite; risoluzione 66/127.

Come spesso mi è capitato metto a disposizione questo blog che porta il mio nome alle lettere aperte che ricevo. Questa volta chi scrive è una persona che lavora in una Rsa e che chiede di rimanere anonima. Credo che la sua lettera meriti attenzione, rispetto e una riflessione su ciò che attende tutti noi; chi prima, chi dopo.

L’Italia secondo le stime è uno dei Paesi con il più alto tasso di longevità: quinta al mondo per aspettativa di vita con una media di 84 anni. Sempre più longevi ma quando non si è più autonomi? Longevi sì ma a quali condizioni? Di qualche giorno fa, ad esempio, la notizia di quanto è accaduto ad una 88enne ospite di una Rsa.

***

Lettera aperta: quanta ipocrisia nelle Rsa!

Nelle strutture in cui opero (e mi vergogno) il 90% degli anziani ha una qualche contenzione fisica e l’80% una contenzione farmacologica. Abbiamo appena brillantemente superato i controlli delle autorità competenti che sulle contenzioni si limitano ad osservare “che bisognerebbe tracciare con maggior precisione” che la presenza di contenzioni viene verificata ogni 2 ore; del resto sono rigorosamente acquisiti i consensi da parte dei rappresentanti legali!

Sto combattendo per “liberare” qualche vecchio, ma trovo muri.

Gli operatori sostengono che se li “liberano” camminano e rischiano di farsi male, i familiari che va bene così, perchè non vorrebbero mai che cadendo si fratturassero. La dirigenza, da parte sua, concorda perché non vi è alcuna denuncia per le contenzioni ma vi sono, al contrario, azioni legali promosse dai familiari per le cadute e le fratture conseguenti.

Dopo una vita di lavoro (nelle Rsa d’insolito non ci sono i ” ricchi”…) si finisce l’esistenza legati e rimbambiti da malattie e da farmaci. Si dà per scontato che questo sia il normale e giusto destino di un anziano malato.

Il pensiero di Franco Basaglia, che ha scritto quella legge del 1978 che ha portato alla chiusura dei manicomi svelando al mondo che i malati non “si legano”, non ha minimamente toccato le Rsa che forse al tempo venivano chiamate solo “case di riposo”. E’ vero che vi sono alcuni esempi virtuosi in alcune strutture, dimostrazione che si può agire diversamente, ma questo agire non è ancora cultura comune, tanto meno condivisa.

Non ci sono soldi per le Rsa. Il Pnrr che finanzia i “percorsi vita” dei piccoli paesi non destina un solo euro a queste strutture. Manca personale, quello che c’è è sottopagato e poco preparato, spesso non brilla per sensibilità e capacità. Come finiremo noi tutti quando saremo vecchi?

Per il nostro bene non è detto che non pensino ad eliminarci non appena diventeremo improduttivi, con la firma del consenso di un amministratore legale che agirà certamente nel “nostro interesse”.

Articolo Precedente

La gestione della morte di Berlusconi? Un teatro dell’assurdo: la questione morale non invecchia

next
Articolo Successivo

Noi italiani abbiamo un problema di identità: vedi il Berlusca-washing dei media

next