Onana lo aveva detto a Calhanoglu: tira alla destra di Ter Stegen, è il suo punto debole. È il 4 ottobre, siamo al minuto 47 del primo tempo di InterBarcellona, un match che già potrebbe decidere le sorti di Simone Inzaghi, non sarà l’ultimo. Dentro o fuori, dalla Champions e dalla panchina. Un tiro rimpallato di Lautaro, la palla che per caso finisce sui piedi di Dimarco. Il terzino tergiversa, poi appoggia a Calhanoglu. Il turco è sui 20 metri, ha il tempo di pensare al consiglio dato da quel bizzarro camerunense che sta per prendersi le chiavi della porta nerazzurra. Carica il tiro e mira all’angolino basso. La palla si insacca esattamente alla destra del portiere del Barcellona, San Siro esplode: non è gioia, è liberazione. Perché l’Inter improvvisamente dimostra di poter dare un senso alla sua stagione. È il vero inizio dell’assurdo e irripetibile cammino che porterà una squadra piena di debiti e di incognite fino a Istanbul, fino a giocarsi la finale di Champions League contro i marziani del Manchester City. La coppa l’hanno vinta gli inglesi, come da pronostico. Ma l’Inter li ha messi in difficoltà come nessun altro, ha sbagliato l’impossibile, è stata gagliarda. Come la stagione nerazzurra in Europa: una storia da film.

L’inizio da incubo – Il percorso nerazzurro in Champions comincia un mese prima di quella vittoria contro il Barcellona. E non con una notta europea, bensì con un derby perso contro il Milan. È l’inizio di settembre e i nerazzurri cadono sotto i colpi di Leao: 3 a 2, doppietta del portoghese. Quella sconfitta precede e condiziona l’esordio stagionale in Europa: quattro giorni dopo, il 7 settembre, a San Siro arriva il Bayern Monaco. Contro un’Inter ancora senza identità, i tedeschi passeggiano e vincono con un netto 2 a 0. Gol di Sané e autorete di D’Ambrosio. Due match in 96 ore che mettono in mostra tutti i limiti della squadra di Inzaghi, umorale e fragile in difesa, come le 12 sconfitte racimolate in campionato stanno lì a dimostrare. In Europa invece sarà un’altra storia, anche se in quel momento nessuno lo può prevedere, nemmeno dopo la vittoria contro il Viktoria Plzen: segnano Dzeko e Dumfries, ma gli avversari non sono davvero all’altezza e per di più rimangono in dieci per la mezz’ora finale dopo l’espulsione di Bucha.

La notte della svolta – L’Inter arriva alla sfida col Barcellona con nella mente e negli occhi dei tifosi ben altre prestazioni: la sconfitta contro l’Udinese prima della sosta nazionali, quella con la Roma a San Siro subito dopo la sosta. I nerazzurri hanno perso quattro partite su otto in campionato, la metà. E vedono già il Napoli avanti di 8 punti in classifica. La panchina di Inzaghi traballa, i giornali sono un profluvio di retroscena su un suo possibile esonero durante la sosta per i Mondiali in Qatar. Anche perché tutti credono che l’Inter uscirà malconcia dalla doppia sfida col Barcellona, che sancirebbe l’addio alla Champions League, seppure nel girone più difficile. Invece i nerazzurri in Europa si trasfigurano: qualcuno parla di motivazioni, altri di chiavi tattiche diverse in campo internazionale. Fatto sta che dal 4 ottobre in avanti, quando l’Inter si presenta per una notte di Champions monta l’assetto da battaglia: baricentro basso e concentrazione. E ripartenze, certo. Ma anche gioco da dietro, senza tuttavia abbandonarsi a vezzi e fronzoli. Una squadra che aveva già subito 15 gol in stagione, accoglie il Barcellona a San Siro e decide di non voler concedere nulla. La difesa, paradossalmente, diventerà la chiave della cavalcata fino a Istanbul. La squadra se ne convincerà dopo quella notte del 4 ottobre, con quel gol di Calhanoglu protetto e salvaguardato fino al 90esimo.

Il secondo posto nel girone più tosto – La settimana successiva il ritorno a Barcellona è tutta un’altra partita: finisce 3 a 3. L’Inter mostra nuovamente i suoi limiti difensivi, ma il pareggio al Camp Nou è la partita della consapevolezza: per la prima volta dal 2010 i nerazzurri sono in grado di uscire di fatto vincitori da un doppio confronto contro un top club europeo. Non ci erano mai riusciti con Spalletti e con Conte (sempre eliminati ai gironi), non ci erano riusciti con Inzaghi contro il Liverpool agli ottavi della passata stagione. Il Barcellona passa in vantaggio con Dembelé, pareggia Barella. Poi Lautaro segna uno dei gol più belli della competizione, ma Lewandoski realizza il 2 a 2 e fa temere il peggio. Invece arriva il gol di Gosens, prima del nuovo pari del polacco. Nel finale Asllani ha perfino un’occasione colossale per vincere, ma cambia poco. L’Inter resta davanti al Barcellona nel girone di ferro della Champions, l’Inter si convince che può giocarsela in Europa. Il 26 ottobre a San Siro la vittoria netta per 4 a 0 contro il Viktoria Plzen (Mkhitaryan, due volte Dzeko e Lukaku) sancisce l’accesso matematico agli ottavi, mandando il Barcellona in Europa League. Il primo novembre a Monaco i nerazzurri perdono ancora contro il Bayern per 2 a 0 (Pavard e Choupo-Moting), chiudendo il girone da secondi con 10 punti.

Il Porto nel momento peggiore – La settimana successiva il sorteggio regala però un altro sorriso: dall’urna è uscito il Porto, probabilmente l’avversario più alla portata tra le squadre teste di serie. Il 22 febbraio a Milano si gioca l’andata degli ottavi. L’Inter ci arriva dopo un mese e mezzo sulle montagne russe: ha battuto il Napoli all’esordio dopo la sosta per i Mondiali, ha vinto la Supercoppa travolgendo il Milan con un secco 3 a 0, ma ha pure perso altri punti in campionato che la tagliano definitivamente fuori dalla lotta per lo scudetto. Mister Inzaghi è di nuovo in discussione, gli ottavi di Champions vengono dipinti come l’ultima spiaggia per evitare un esonero immediato. Anche contro il Porto si vede un’Inter brutta e sottoritmo, che però in Europa si ricorda di cambiare assetto: battaglia e difesa, appunto. Il match è terribile per 75 minuti, poi arriva l’episodio: l’espulsione di Otavio al 78esimo. Parte l’assalto dei nerazzurri, che capiscono di avere un’occasione irripetibile. La sfrutta Lukaku a 4 minuti dal 90esimo: 1 a 0 e tutti felici, per quell’Inter è il massimo ottenibile. Al ritorno il 14 marzo al Do Dragao, i nerazzurri ci arrivano se possibile in condizioni ancora peggiori, dopo aver perso per 2 a 1 contro lo Spezia in campionato. In Portogallo la squadra di Inzaghi difende il vantaggio dell’andata con un’altra partita brutta ma efficace. Di fronte, fortunatamente, c’è un Porto che non ha le capacità di fare gioco. Tra parate di Onana, salvataggi sulla linea e una traversa al 95esimo, finisce 0 a 0: Inzaghi è salvo e l’Inter torna ai quarti di Champions dopo oltre un decennio.

A Benfica la seconda svolta – Il 17 marzo dall’urna Nyon arrivano altre buone notizie: ai quarti l’Inter incrocia il Benfica, con vista su una semifinale contro la vincente tra Milan e Napoli. In quel momento, nel mezzo di una stagione che pare complicatissima, si apre all’improvviso un miraggio chiamato finale di Champions. L’Inter nel frattempo non sembra uscire dall’incubo: in campionato perde con la Juventus e con la Fiorentina, poi pareggia 1 a 1 con la Salernitana. A Lisbona l’11 aprile si presenta una squadra indecifrabile, con un allenatore che ancora una volta pare aggrappato alla Champions per evitare di essere cacciato. L’esonero a fine stagione viene dato quasi per scontato. Invece contro il Benfica l’Inter sfodera la partita perfetta: Barella al 51esimo e Lukaku su rigore all’82esimo firmano un 2 a 0 in trasferta che vale già tre quarti di qualificazione. È la seconda svolta della stagione: da quel momento l’Inter metterà in fila 11 vittorie, un pareggio e 2 sconfitte nelle successive 14 partite. L’unico pari arriva nella gara di ritorno a San Siro: un altro 3 a 3. La sblocca ancora Barella, pareggia Aursnes al 38esimo. Poi Lautaro al 65esimo segna il gol della tranquillità e Correa mette in ghiaccio la qualificazione al 78esimo. Negli ultimi minuti arrivano le reti ininfluenti di Silva e Musa. Sarà derby contro il Milan, che il giorno dopo elimina il Napoli.

L’euroderby dominato – Da quel derby di inizio settembre, in cui il Milan aveva tremendamente messo a nudo tutta la cagionevolezza dell’Inter, all’Euroderby che cambia il volto di una stagione. Il parallelo tra quella gara e il doppio confronto in semifinale di Champions racconta meglio di qualsiasi analisi come sia cambiata la squadra di Inzaghi con il passare delle partite, specialmente quelle di sera con la musichetta europea. Bastano i primi 12 minuti del match d’andata del 10 maggio: segnano prima Dzeko e poi Mkhitaryan, non c’è confronto con i rossoneri. L’Inter ha perfino il rammarico di non trovare altri gol in un primo tempo dominato, mentre nella ripresa l’unico brivido è un palo colpito da Tonali. La qualificazione non è ancora chiusa, ma il ritorno il 16 maggio in casa dell’Inter diventa una festa: San Siro trema solo per un’accelerazione di Leao a fine primo tempo. Poi il gol di Lautaro al 74esimo certifica che a Istanbul ci vanno i nerazzurri: la sua esultanza con le braccia al cielo sotto la Nord diventa il simbolo, l’emblema dell’impresa compiuta. L’Inter in 180 minuti non concede praticamente nulla al Milan e in 6 partite a eliminazione diretta ha subito appena tre gol, dei quali due nei minuti finali di una partita che non contava più. I nerazzurri arrivano a Istanbul con un allenatore virtualmente esonerato in tre occasioni e ora confermato senza discussione. Con i debiti di Zhang, con mezza squadra incerta su quale maglia indosserà in futuro. Una stagione assurda, irripetibile.

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L’Inter gioca alla pari dei marziani, ma non basta: Lautaro e Lukaku tradiscono Inzaghi, il Manchester City è campione

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