di Carmelo Sant’Angelo

Anche questa legislatura esordisce con un progetto di riforma costituzionale. Ovviamente “voluta” dagli elettori. La classe politica ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma, ça va sans dire, lo fa per restituire il potere ai cittadini. Ma chi dovrebbe restituircelo questo potere? La politica? In tal caso saremmo in presenza della vendita di un bene altrui, avendo, da tempo, la politica ceduto la sovranità ai mercati finanziari.

Il mercato ha soppiantato la politica, come testimonia la fine dei partiti di massa. La resa è avvenuta con la sostituzione del modello di governement (cioè, la regola calata dall’alto) con la “governance” (cioè, il processo di tipo negoziale per cui individui e istituzioni pubbliche e private cooperano alla risoluzione dei problemi comuni, il cd “diritto morbido”).

La dittatura dei mercati è palese e domina anche le sfere più alte della politica. L’osannato arbitro del gioco democratico, colui che, al contrario dello scrivano Bartleby, preferisce quasi sempre dire sì, ha usato il suo potere di veto soltanto di fronte al pericoloso, anarchico, ottuagenario Paolo Savona. Paradossale la motivazione: “La designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari. Ho chiesto, per quel ministero, l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza”. Ma al Colle più alto viene issato un garante della Costituzione o dei mercati?

Nello stesso discorso, il nostro disse: “Ho accolto la proposta per l’incarico di presidente del Consiglio, superando ogni perplessità sulla circostanza che un governo politico fosse guidato da un presidente non eletto in Parlamento”. Queste riserve, invece, svaniscono quando il premier è indicato dalla finanza? Allora fu sufficiente il pellegrinaggio a Città della Pieve per espiare ogni colpa.

Ancora: il risparmio finanziario delle famiglie italiane, a fine 2021, era stimato in 5.256 miliardi di euro (fonte: Federazione Autonoma Bancari Italiani, Agosto 2022). Gli economisti affermano che basterebbero 350 miliardi per abbattere la disoccupazione (mettendo fine all’emigrazione) e garantire un benessere collettivo. Sarebbe sufficiente che lo Stato convogliasse questo risparmio verso progetti di sviluppo e ricerca. Un tentativo fu fatto con il BTP Italia, non a caso boicottato dalla stampa (in mano agli editori impuri), dalle banche (per le modeste commissioni), dalla U3 che lo catalogò come “debito”.

La ragione è che il denaro è come il flusso di un fiume, la portata massima deve alimentare la finanza, mentre solo un rigagnolo è destinato all’economia reale. Per sorreggere questo sistema è necessario: che la disoccupazione non cali sotto il 9%, altrimenti si crea inflazione e svalutazione monetaria; che ci sia un esercito di schiavi per calmierare il costo del lavoro (motivo per cui è stato abolito il reddito di cittadinanza); che i titoli di Stato siano nella pancia del sistema bancario e non in quelle dei cittadini, per poter esercitare un potere di ricatto attraverso lo spread. Tutta la costruzione europea è, del resto, ancorata all’ordoliberalismo di matrice tedesca.

In funzione della libera circolazione dei capitali sono stati precisati i termini della politica monetaria, di bilancio e salariale. Per attirare gli investitori occorrono i cambi fissi (cioè, la moneta unica), ma a monte occorre la riduzione della pressione fiscale sulle imprese, finanziata con tagli della spesa pubblica, oltre alla flessibilizzazione e svalutazione del lavoro.

I pilastri che reggono questa costruzione sono i limiti al deficit pubblico e al debito pubblico, successivamente inaspriti con il pareggio di bilancio, inserito in Costituzione. Siamo certi che siano questi gli strumenti attraverso cui si rimuovono “gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano “di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”? Prima di riformare la Costituzione rispettiamone almeno le norme fondamentali.

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