Mia mamma era una bellissima donna, e non lo dico in quanto suo figlio, o perlomeno non solo in virtù di ciò, ma anche perché si trattava di un dato oggettivo. Aveva occhi neri profondi e capelli corvini che, fortuna sua, fino agli ultimi anni della vita non ha mai dovuto tingere. Quegli stessi occhi e quegli stessi capelli di un nero talmente inteso da sembrare, in alcuni momenti e con alcuni riflessi di luce, addirittura viola, li ha ereditati mio figlio Giovanni e, ammetto, ogni volta che lo guardo non posso non tornare con la mente al ricordo di mia madre e pensare che, anche in questo modo, lei sia in un certo senso ancora dentro ciascuno di noi che la abbiamo amata.

C’è un momento della mia infanzia, però, che a distanza di 40 anni ricordo ancora con un certo turbamento; era estate, ci eravamo trasferiti nella casa al mare e scorsi mia madre fissa davanti allo specchio della sua camera. Non era lì per truccarsi o pettinarsi, ma aveva gli occhi spaventati.

Appena sopra al suo orecchio destro era apparsa una macchia chiara, che con la pelle abbronzata si notava ancora di più. Lei la guardava con paura e, in quel momento, la paura entrò anche nel mio cuore di bambino. In pochi secondi capii per quale ragione, da settimane, nonostante lei fosse sempre in ordine, sull’orecchio destro di mia madre ci fosse sempre una ciocca di quei capelli corvini. Sembrava scivolata ribelle dalla sua acconciatura raccolta, ma in realtà era messa lì appositamente affinché nessuno, e men che meno noi figli, potessimo accorgerci di quello che accadeva.

Nei giorni che seguirono la macchia si espanse e mia madre e mio padre volarono a Roma perché lei potesse essere visitata da uno specialista. La diagnosi fu chiara: vitiligine. Nulla di estremamente grave, si tratta di una malattia cronica della pelle che, in sintesi, impedisce ai melanociti di svolgere correttamente la propria funzione e si manifesta con macchie chiare più o meno grandi e diffuse a seconda del soggetto colpito.

Nulla di grave da un punto medico, certo, ma non altrettanto trascurabile da un punto di vista psicologico.

Posso solo immaginare lo stato d’animo di mia madre, allora nel fiore dei suoi anni da giovane donna, davanti a quella macchia che la rendeva per così dire “diversa”. Chissà se anche altre sue amiche nascondevano la stessa patologia dietro ad altre ciocche, chissà se lei stessa non le aveva mai notate in loro o in qualche parente e, anche, chissà se semplicemente parlarne avrebbe reso meno pesante quel fardello psicologico.

Erano anni diversi e non si parlava apertamente della malattia; fosse essa grave o, come nel caso della vitiligine di mia madre, assolutamente gestibile senza problemi. Oggi per fortuna non è più così, ed è uno di quei (forse pochi) casi in cui si sta meglio rispetto al passato.
E diventa ancora più normale se si capisce che le diversità, piccole o grandi che siano, non solo esistono e sono normali, ma il più delle volte arricchiscono. E il messaggio vale sia per chi di quella “diversità” è spettatore sia per chi ne è portatore.

Ecco la ragione per la quale serie a cartoni come LEGO® DREAMZzz (dal lunedì al venerdì, alle 16.25 su BOING, canale 40 DDT) sono importantissime; fra i protagonisti della storia c’è Mateo, un giovane affetto da vitiligine che assieme ai suoi amici impara a usare il potere dell’immaginazione per sconfiggere il terribile Re Nightmare (‘Re Incubo’) che regna su un mondo di rimpianti e paure collettive; come quella di essere esclusi dalla vita “normale” per delle macchie bianche apparse all’improvviso, una sera d’estate, sopra all’orecchio destro.

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