di Francesco Petrelli*

Mentre il clima impazzito continua a dispiegare tutto il suo devastante effetto nel mondo e in modo sempre più evidente anche in Italia, da oggi a domenica si riuniscono i leader dei 7 Grandi a Hiroshima. E nell’agenda del summit torna, oltre alla guerra in Ucraina, la crisi alimentare globale foraggiata da un’inflazione alimentare galoppante e appunto dal caos climatico di cui si parla per lo più solo all’indomani dell’ennesima emergenza. Ma andiamo per gradi.

La fame è in aumento per il quinto anno consecutivo

Lo scenario che i leader del G7 hanno di fronte è complesso e allarmante, sempre più caratterizzato da profonde e crescenti disuguaglianze. Non possono ignorarlo. La fame nel mondo è aumentata per il quinto anno consecutivo, mentre la ricchezza estrema e la povertà estrema sono cresciute contemporaneamente per la prima volta in 25 anni.

Bastano pochi numeri per fotografare quanto sta accadendo e quanto insostenibile sia il prezzo che le comunità più povere devono pagare: 258 milioni di persone in 58 Paesi sono sull’orlo della carestia, con un aumento del 34% rispetto all’anno scorso. In Africa orientale, paesi come Kenya, Etiopia e Somalia sono alle prese con la più grave siccità degli ultimi 40 anni, causata dalla quasi totale mancanza di piogge negli ultimi 5. Il risultato è che il 90% dei pozzi sono prosciugati, il prezzo dell’acqua è salito del 400%, i raccolti non ci sono e 13 milioni di capi di bestiame sono morti. Nei prossimi mesi, in questa regione, una persona rischia di morire di fame ogni 28 secondi, con 36 milioni già colpiti da grave malnutrizione. Una crisi indicibile che ha già costretto 1,7 milioni di persone ad abbandonare le proprie case in cerca di cibo e acqua.

Ebbene, se tutte le stime più accreditate ci dicono che entro il 2050 saranno oltre 200 milioni i cosiddetti migranti climatici nel mondo, cosa stanno facendo le sette economie più avanzate del pianeta per rispondere all’emergenza?

Tra costo del debito e mancate promesse

A guardare da vicino ben poco si è fatto, anzi peggio, si è continuato a schiacciare i paesi più fragili sotto il peso del debito estero. La bomba del debito è stata di nuovo innescata. Secondo i calcoli fatti da Oxfam alla vigilia del summit giapponese, i paesi del Sud Globale pagano ogni giorno 232 milioni di dollari per il rimborso del debito ai Paesi del G7 e saranno obbligati a farlo fino al 2028, mentre dai 7 Grandi ad oggi mancano all’appello ben 13.300 miliardi di dollari di aiuti e finanziamenti (promessi e mai stanziati) per far fronte alla crisi climatica. Si tratta di risorse cruciali in paesi fragili, dove la sussistenza della popolazione dipende in buona parte dalla produzione agropastorale.

Nel frattempo, nonostante il mese scorso i paesi del G7 si siano impegnati ad accelerare l’eliminazione della produzione di energia da combustibili fossili, la Germania preme affinché dal summit escano nuovi impegni sugli investimenti pubblici nel gas.

C’è poi il capitolo del risarcimento dei danni già causati ai paesi in via di sviluppo per via delle emissioni di CO2 in atmosfera da parte dei paesi ricchi. Secondo le stime, il G7 deve agli stati a reddito medio-basso 8.700 miliardi di dollari. Dopo 30 anni di stallo, alla COP26 i paesi ricchi hanno deciso finalmente di istituire un “Fondo per le perdite e i danni”. Ma rimangono enormi interrogativi sulla sua efficacia e sui meccanismi che lo regoleranno, soprattutto sul rispetto dello stanziamento dei 100 miliardi all’anno, a partire dal 2023, promessi ai paesi in via di sviluppo per fronteggiare i cambiamenti climatici.

L’appello ai Paesi del G7

Disinnescare la bomba del debito, incrementare in quantità e qualità l’aiuto allo sviluppo e finanziare il Fondo per la riparazione dei danni climatici sono le tre mosse urgenti per cambiare una tendenza rovinosa. Per agire non è ancora troppo tardi.

Per questo Oxfam chiede con forza ai paesi del G7 di intervenire subito per la cancellazione dei pagamenti sui servizi del debito che molti stati a basso e medio reddito non possono più sostenere e di rispettare l’obiettivo dello stanziamento dello 0,70% del reddito nazionale lordo in aiuto pubblico allo sviluppo.

In media i paesi ricchi nel 2022 hanno destinato solo lo 0,36% del loro reddito nazionale lordo agli aiuti allo sviluppo, dato che, se pure fa segnare un aumento rispetto all’anno precedente, è dovuto principalmente alle spese per i rifugiati nei paesi donatori. A riprova il fatto che le risorse verso la cooperazione effettiva con l’Africa diminuiscono del 7,8%.

L’Italia, pur aumentando gli stanziamenti allo stesso modo, è ancora allo 0,32%. Tutti record, dopo 50 anni di promesse mancate, di cui certo non andare fieri.

*policy advisor di Oxfam Italia su sicurezza alimentare e finanza per lo sviluppo

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